Sta per essere approvata ufficialmente, in Florida, negli Stati Uniti, una legge che vieta l’indottrinamento gender nelle scuole materne ed elementari. Lo scorso 8 marzo, infatti, il Senato ha approvato il testo di legge che gli oppositori, polemicamente, avevano soprannominato “Don’t Say Gay” (“Non dire gay”) e che ora attende solo la firma del governatore Ron DeSantis, già dichiaratosi entusiasta dell’iniziativa.
La rabbia dei progressisti e degli attivisti LGBTQ è tanta e ultimamente si è riversata anche contro la Disney, colpevole, a loro dire, di non essersi opposta e pronunciata apertamente contro il disegno di legge in questione.
Un duro attacco è giunto anche dal sindacato dei lavoratori dell'animazione (Animation Guild) che ha parlato di “passo falso”: «E' deprimente - si legge in una dichiarazione ufficiale sui social - che Disney, uno dei marchi più di successo al mondo, con enormi risorse e una piattaforma globale, non abbia fatto niente per impedire l'approvazione di questa legge».
La “colpa” dell’azienda, infatti, consisterebbe nella decisione del suo Ceo di non rilasciare alcuna dichiarazione contro il disegno di legge: «È scoraggiante – ha aggiunto il comitato esecutivo di Animation Guild - che Disney, uno dei marchi di maggior successo al mondo con enormi risorse e una piattaforma globale, non abbia intrapreso alcuna azione per aiutare a prevenire l'approvazione di questo disegno di legge».
Una vittoria o un cambio di rotta da parte del colosso dell’animazione, che ormai produce contenuti sia per bambini che per adulti? Niente affatto. È vero, infatti, che la Disney non si espressa in un primo momento contro questo disegno di legge, ma è altrettanto vero che sempre il Ceo Bob Chapek ha già annunciato una revisione delle donazioni politiche a coloro che, di fatto, hanno in qualunque modo sostenuto o contribuito all’approvazione di questo disegno di legge.