26/07/2021 di Giuliano Guzzo

Netflix Lgbt mette nuovamente in pericolo i nostri bambini

Netflix torna a strizzare l’occhio al mondo Lgbt. E lo fa in modo piuttosto esplicito con Ridley Jones, serie per bambini in età prescolare che contiene vari ingredienti cari alla narrazione arcobaleno. A partire dalla protagonista, una bimba di 6 anni di età che, in buona sostanza, vive all’interno di un Museo di storia naturale. Fin qui tutto normale, ovvio. Peccato che la piccola Ridley abiti con la madre e con la nonna: quindi non ha il papà, o se lo ha chissà dove si trova.

Una condizione dunque non semplice, la sua, che si discosta molto da un contesto che si potrebbe definire ordinario. Ma attenzione, perché questo è niente. Il vero omaggio Lgbt di tale prodotto di animazione lo si ha in Fred, un bisonte molto particolare dato che, come si vede nelle immagini, ha i capelli pettinati: perfettamente, manco fosse appena stato dal parrucchiere. Un po’ inconsueto, per un animale di quel tipo.

E infatti, quando viene posta la fatidica domanda all’animale - «sei un lui oppure una lei?» -, ecco la risposta spiazzante: «Sono solo Fred».  Insomma, l’animale è «non binario». Per rendere le cose più realistiche, Netflix ha pensato bene di far doppiare Fred da Ezra Menas, a sua volta attore «non binario». Insomma, che questo prodotto per bambini – che ha debuttato il 13 luglio scorso – sia davvero un omaggio alle rivendicazioni Lgbt non è un dubbio o un’ipotesi: è proprio una certezza.

Beninteso: non si tratta di una novità assoluta. La scorsa estate, infatti, era uscita la notizia di The Baby-Sitters Club, una nuova serie destinata ai giovani - di Netflix appunto – che narra le vicende di cinque adolescenti alle prese con il baby-sitting; ebbene, uno dei piccoli accuditi è Bailey, bambino di cui si parla nel quarto episodio, che ha le sembianze di una fanciulla, pur essendo biologicamente maschio. Ancora, risalendo al giugno 2018, si può ricordare come Netflix avesse pubblicamente appoggiato il Milano Pride, diffondendo varie pubblicità tra cui una con la scritta «Mia madre non esiste».

Tutto ciò per dire, o meglio ribadire che Ridley Jones non rappresenta qualcosa di mai visto, bensì la concreta continuazione di quella che è difficile non interpretare, alla luce di quanto detto, come una campagna propagandistica sulla pelle dei bambini. Il che, francamente, non può non preoccupare, dal momento che sottoporre all’attenzione di giovanissimi che comprensibilmente, alla loro età, non hanno in mente che il gioco e lo svago contesti familiari non ordinari e personaggi «non binari» significa fare solo una cosa: seminare tante confusione, promuovendo contenuti non educativi bensì caotici.

Naturalmente, già si conosce quale può essere la replica a tale critica: ma no, ma quale confusione e quale propaganda, i cartoon pro Lgbt servono semplicemente ad educare i più piccoli all’«inclusione» e alla «tolleranza». Ora, a parte che è tutto da vedere che il compito dell’intrattenimento televisivo – tanto più verso i minori - non sia, come dice il nome stesso, quello di intrattenere bensì quello di educare, va sottolineato che non tutti i contenuti sono uguali. Per esempio, presentare a bambini di pochi anni di vita un personaggio «non binario» vuol dire sottoporsi una situazione che non è fisiologica e normale, rientrando nella migliore delle ipotesi in una casistica di disforia di genere, con tutti i delicati risvolti psicologici, e non solo, del caso.

Di qui un dubbio: e le famiglie? Si rendono conto, padri e madri, di ciò che viene rifilato ai loro figli nel momento in cui vengono lasciati a “godersi” delle serie «per bambini»? Dopotutto, è questo l’aspetto più importante, anzi più urgente, che merita di essere richiamato con chiarezza. Altrimenti si rischia sempre di commettere lo stesso errore educativo: chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. O, per venire a noi, quando certe serie sono già andate in onda.

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