25/06/2020 di Manuela Antonacci

Netflix celebra (e ostenta senza motivo) il mese del Pride

Una provocazione bella e buona, quella lanciata da Netflix Italia sui socil network, in cui si risponde a chi denuncia troppi film con personaggi LGBT, proponendo al suo pubblico nuove “nomi” di film di questo “genere”, affiancando un emoticon arcobaleno ad ognuno di questi titoli. E così Netflix Italia comincia a sciorinare un lungo elenco arcobaleno di nomi di famosi film modificati proprio in chiave arcobaleno. “A thread”, “Gender things”, “Dear straight people”, “Tiger queer”, “Storia di un unione civile”. In più invita il suo pubblico a proporre altri nomi di questo tenore.

Vengono spontanee alcune considerazioni: innanzitutto il fatto che una società di distribuzione di film tenga conto delle “esigenze” di una sola fetta del suo pubblico, ignorando completamente il resto degli utenti, ma soprattutto non ponendosi nemmeno qualche domanda sulle loro recriminazioni, rispedite al mittente come se queste persone non esistessero e non usufruissero dei suoi servizi.

Insomma, Netflix ci mostra chiaramente di distinguere il suo pubblico in utenti di serie A e in utenti di serie B ma, piccolo particolare, gli utenti di serie B sono la maggioranza! Quindi siamo di fronte ad una scelta, anche solo dal punto di vista “comunicativo”, alquanto azzardata. Non solo, le proteste del suo pubblico di sempre avrebbero potuto costituire un’occasione preziosa, per Netflix, per riflettere su una grossa contraddizione alla base di questo criterio di scelta, ovvero che nello sforzo di trattare le persone dello stesso sesso come persone uguali a tutte le altre, altro non si fa che trattarle invece, come se fossero una categoria a parte.

Infatti non si è mai vista un’iniziativa simile per gli etero. Il semplice ostentare con orgoglio la propria identità, infatti, cela proprio una forma di insicurezza rispetto alla stessa. Le persone con orientamento omosessuale sono uguali alle altre, allora perché trattarle come se fossero una categoria a parte, anzi, peggio, una categoria protetta?

Ci auguriamo dunque che Netflix, anziché operare ogni sforzo per apparire più in linea possibile con il pensiero unico che si cerca di imporre oggi, recuperi il criterio della ragionevolezza per operare scelte non ideologiche, che non vadano sempre e solo nell’unica, solita, direzione, martellandoci col messaggio che “gay è bello” o che “gay è meglio”.

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