Anche la Mondadori si allinea al pensiero unico all’insegna della fluidità di genere. È quanto traspare da un recente seminario in streaming (dello scorso 2 febbraio) principalmente ma non soltanto per docenti e studenti, promosso dalla casa editrice milanese sul tema: “Nuove parole per vecchi problemi: immaginari di genere in evoluzione”.
Il dibattito sulle questioni di genere legate al linguaggio è stato introdotto e moderato da Claudio Nader, fondatore di Osservatorio Maschile, un centro di produzione culturale che si occupa di genere, principalmente dal punto di vista maschile. Sono quindi intervenute Irene Biemmi, ricercatrice all’Università di Firenze e docente di Pedagogia di genere, e Barbara Mapelli, che è stata docente di Pedagogia delle differenze di genere all’Università Bicocca di Milano. Le due relatrici sono infatti autrici del recente manuale Pedagogia di genere. Educare ed educarsi a vivere in un mondo sessuato destinato in modo particolare agli studenti iscritti ai corsi di laurea in Scienze della formazione, ovvero i futuri maestri e insegnanti.
«La pedagogia di genere è un sapere fluido», recita lo slogan per la locandina di questo evento, che si apprende essere in realtà già il secondo webinar sul tema. Nel corso del dibattito la Mapelli rileva con rammarico il fatto che «la nostra lingua non ha il neutro» e nel contempo saluta felicemente la possibilità di risemantizzare i termini e declinare anche al femminile i mestieri, da ‘ingegnera’ a ‘Presidenta’. Sulla stessa linea la Biemmi auspica che si comincino a nominare nei libri di testo scolastici le professioni al femminile, perché altrimenti «si comprimono i campi di pensabilità al femminile». Di qui la ricercatrice all’Università di Firenze evidenzia che «la lingua deve stare al passo col cambiamento sociale». Si tratta pertanto di decostruire e sovvertire gli stereotipi per «educare bambini e bambine a un linguaggio fluido e ampio, affinché siano protagonisti di una realtà in cambiamento». Tra gli stereotipi da decostruire figura anche il concetto di cura, che occorre liberare dalle sovrastrutture storiche sessiste per cui è presentato quale prerogativa specifica radicata nella natura della donna.
Le relatrici rimandano infine alla sezione del loro manuale dedicata ai suggerimenti di lettura sul tema per bambini e adolescenti pubblicati da case editrici quali Settenove, Lo Stampatello (la casa editrice del tristemente celebre “Piccolo uovo” di Francesca Pardi, libro gender per bimbi dell’asilo) e la collana Sottosopra di Giralangolo, mentre constatano con piacere come sia in crescita la produzione letteraria di narrazioni che raccontano di ‘famiglie omogenitoriali’ e transizioni di genere. In sostanza sono tutte storie costruite attraverso «un linguaggio che produce la realtà», come le autrici stesse ammettono, palesando così il nocciolo ideologico di tale operazione culturale.
Riprendendo un linguaggio antilinguistico – «parole dette per non dire quello che si ha paura di dire» per dirla con Orwell, – le autrici trascurano un presupposto filosofico imprescindibile: l’essere precede il pensiero, la realtà precede il linguaggio. Ciò vuol dire che le parole hanno senso e significato nella misura in cui riconoscono l’ordine della realtà naturale di cui sono segno; altrimenti, se sono autoreferenziali, elaborano soltanto un’ideologia che non può trovare di fatto riscontro nella realtà.