14/05/2021 di Luca Marcolivio

Mentre il Pd difende l’identità di genere la sinistra spagnola la combatte

La parola chiave è “identità di genere”. La presenza o meno di questa espressione cambia in modo radicale la natura dei progetti di legge e indirizza in modo decisivo i cambiamenti culturali. Lo stesso ddl Zan è interamente imperniato su questo concetto: tanti altri aspetti, a partire dalla libertà d’espressione, sono stati posti al centro del dibattito ma non l’identità di genere. Eppure, è proprio in questa espressione che si gioca il futuro della nostra società e della nostra impostazione antropologica. L’identità di genere è quel minuscolo impercettibile forellino che rischia di far collassare un mastodontico e avveniristico edificio, che i suoi progettisti si avviano a inaugurare in pompa magna, con tanto di taglio del nastro (arcobaleno, ça va sans dire…).

Non è un mistero che il mondo radical-progressista italiano sia sul punto di spaccarsi proprio sull’omotransfobia, con femministe da una parte e lgbt dall’altra. Come già aveva osservato Marina Terragni nell’intervista rilasciata a Pro Vita & Famiglia lo scorso mese, l’identità di genere, legittimando l’invasione di uomini autoidentificati con l’altro sesso in ambiti di esclusiva fruizione femminile (competizioni sportive, toilette pubbliche, carceri) compromette sia la sicurezza delle donne, che la loro dignità ed emancipazione. Per non menzionare l’utero in affitto, percepito da quasi tutti come un autentico mercimonio del corpo femminile.

Il risvolto significativo è però la totale mancanza di riscontri politici per questa visione femminista “gender free”. Le femministe dell’ultima generazione sono totalmente appiattite sui dettami del ddl Zan, mentre le femministe della prima ora, per lo più tacciono o, al massimo, avanzano qualche timido compromesso al ribasso. Come Dacia Maraini, che appoggia il ddl Zan, suggerendo di porre in discussione l’identità di genere solo dopo l’approvazione. Resistono le voci fuori dal coro, come la già citata Terragni che, pochi giorni fa, sul suo profilo Facebook, si domandava: «Ma se il Pd non lo voteremo, e la destra non l’abbiamo mai votata, che si fa?». Tra i commentatori del post c’è anche chi ipotizza un appoggio al Partito Comunista di Marco Rizzo, viste le posizioni di quest’ultimo sulla maternità surrogata, sulla tutela delle donne e dei bambini.

Se però nella sinistra italiana – PD in primis – la linea Zan è radicata in modo pressoché unanime, non altrettanto avviene nel resto d’Europa. Il caso spagnolo è particolarmente emblematico. La Spagna è generalmente percepita come paese assai più gay friendly del nostro: al di là dei Pirenei il matrimonio e l’adozione sono consentite da sedici anni, mentre in Italia sono ancora illegali. Ciononostante, in Spagna, l’identità di genere è stata messa in discussione. Ad opporsi sono proprio le donne del Partito Socialista iberico, che, a tal riguardo, hanno diffuso un manifesto destinato a riaprire una discussione che, fino a poco tempo fa, sembrava ormai archiviata. Il documento si esprime con logica ferrea e argomentazioni difficilmente attaccabili. Mentre il sesso è definito «un fatto biologico», il genere viene indicato come «la costruzione sociale del sesso biologico con cui si nasce», ovvero come «l’insieme dei ruoli sociali e culturali, dei compiti, degli stereotipi (SIC)… che sono assegnati a uomini e donne in modo differenziato e che modellano aspettative e opportunità».

Le socialiste spagnole non si limitano alla pura accademia ma si spingono ad un’inaudita proposta. «Se il genere sostituisce il sesso – si legge nel manifesto – si offusca la situazione di disuguaglianza strutturale tra donne e uomini»: ciò favorisce «l’oppressione, l’ineguaglianza e la subordinazione delle donne rispetto agli uomini», spingendo le femministe socialiste a chiedere l’«abolizione» del genere «per ottenere l’emancipazione delle donne».

L’identità di genere, codificata in una legge spagnola del 2007, starebbe quindi «mettendo il concetto giuridico e il soggetto politico “donna” a rischio». Fermo restando il rispetto dovuto alle persone transgender e la loro non discriminazione, sussistono una serie di «rischi pratici», che vanno dalla difficoltà di organizzazione dei «dati statistici», alla corretta applicazione della «legge sulla violenza di genere», fino alle «politiche di parità» e alla gestione dei «centri accoglienza», per arrivare alle «competizioni sportive».

Le donne, allora, «non sono un’identità o un’essenza» ma «il sesso con cui nascono determina il loro posto nel mondo». In Spagna il femminismo si batte «per la parità dei diritti delle donne e uomini» e «per la piena cittadinanza delle donne e per la loro emancipazione». L’«attivismo queer», al contrario, minaccia queste conquiste. «Come socialiste difenderemo le posizioni femministe e le trasmetteremo ad iniziative legislative durante il periodo di elaborazione parlamentare», conclude il documento.

 

 

 




FIRMA ANCHE TU LA PETIZIONE CONTRO IL DDL ZAN PER LA LIBERTÀ DI PENSIERO

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.