20/05/2019

Marcia per la Vita, De Mari: «Quanto è bello, per la donna, essere madre»

Mettere al mondo un figlio e allevarlo è qualcosa di più creativo della realizzazione della Cappella Sistina o della Divina Commedia: ad affermarlo è Silvana De Mari. La dottoressa e scrittrice pro life è stata presente sabato scorso a Roma alla Marcia per la Vita, da lei accolta come una grande occasione per sfidare la cultura della morte e per restituire alle donne la loro vera dignità.

Dottoressa De Mari, qual è il messaggio che vuole lanciare a conclusione della sua partecipazione alla Marcia per la Vita?

«La cosa importante è creare una cultura per la vita. Noi apparteniamo a una cultura di morte, non è un caso se siamo il secolo del genocidio. L’aborto è un suicidio differito: la donna uccide la sua proiezione nell’eternità, la sua proiezione oltre la morte. Inoltre, rinnega la sua essenza: noi siamo donne, dominae, regine. Il femminismo ci ha ridotto a maschi castrati, con una sessualità usa-e-getta di tipo maschile. Così come il maschio peggiore pretende il diritto a non volere il figlio che ha generato, le donne hanno rivendicato quello stesso diritto. Il subconscio sente la morte in modo terribile. Così avviene per la donna che ha abortito: quella morte è rimasta dentro di lei e diventa qualcos’altro: malattia psicosomatica, malattia autoimmune, oppure, a volte, uno strano buttarsi via in scelte sbagliate, dal lavoro all’uomo. Ma noi siamo dominae e regine, è il mondo che deve inchinarsi di fronte alla nostra gravidanza, non noi che dobbiamo seguire il mondo calpestando la nostra gravidanza. L’aborto è orrendo anche dal punto di vista estetico, è la cosa più brutta che possa esistere insieme al vedere un uomo torturato o bruciato vivo. Vedere un corpicino smembrato finire a pezzi nell’aspiratore è terrificante. Vedere un corpicino smembrato con delle pinze come denti d’acciaio per non perdere la presa oppure estratto ancora intero e ancora vivo e lasciato morire sul tavolino dei ferri, è qualcosa di orrendo. Le donne non hanno bisogno di cose orrende ma di supporto, di aiuto, di una cultura di vita per poter diventare madri. Inoltre, da un punto di vista puramente pratico ed economico-finanziario, avviene che la denatalità è un disastro per la nazione. Quindi è corretto che una nazione sostenga la maternità e le madri come sua fondamentale priorità».

Perché è così difficile, nonostante le evidenze scientifiche, riconoscere che la vita inizia dal concepimento?

«Perché siamo una cultura di morte e la morte è stata “venduta” come un diritto umano. È stato venduto come un diritto umano l’aborto, il morire di fame e di sete come sta succedendo a Vincent Lambert. È venduto come diritto umano l’eutanasia. È venduto come diritto umano il sottoporsi a castrazione chirurgica attraverso il “cambiamento di sesso” (una follia perché, in realtà, il sesso non si può cambiare). È in una cultura di morte che noi siamo immersi. Che ogni creatura umana abbia diritto di vivere è evidente. Il feto è qualcosa di straordinario: nella grande maggioranza dei casi, quando si pratica un aborto, i fasci spino-talamo-corticali sono già formati, quindi è in grado di sentire dolore. Ogni feto è una creatura unica e insostituibile, con un patrimonio genetico la cui combinazione non si formerà mai più nella storia. Eppure, è considerato irrilevante, perché viviamo immersi in una cultura di morte, basata sulla cosiddetta “rivoluzione sessuale del ‘68”. La sessualità è una cosa bellissima («Crescete e moltiplicatevi», dice il Genesi) e serve a generare dei bambini. Quello che abbiamo vissuto è una rivoluzione erotica, con la sessualità ridotta a uno strofinio di organi, a un coito ininterrotto, da praticare in una situazione di assoluta irresponsabilità. Quindi è necessario garantire alle donne lo stesso livello di irresponsabilità degli uomini: se non voglio il bambino me ne vado (uomo) oppure lo abortisco (donna). Questo è tipico di una cultura della morte. È tipico di una cultura di morte odiare la famiglia, perché nella famiglia nasce la vita e nella famiglia la vita viene protetta. Quindi la criminalizzazione della famiglia, insieme all’aborto, fa parte di tutta un’ideologia che comincia nei film – le famiglie sono ipocrite, cattive, malvage – e che contagia anche le scienze, dall’antropologia alla psicanalisi».

Come si può spiegare, alle giovani di oggi, la bellezza della maternità?

«Diventare madri è bellissimo, noi donne siamo incomplete fino a quando non diventiamo madri, così come gli uomini sono incompleti fino a quando non diventano padri. Fino a quando questo non succede, c’è un’assoluta incompletezza. L’altra cosa che possiamo dire è che il bimbo avrà gli occhi e il sorriso delle loro madri: un figlio sarà la loro proiezione nell’eternità. Mettere al mondo un figlio e allevarlo è la più potente espressione creativa che un essere umano possa avere. In confronto dipingere la Cappella Sistina o scrivere la Divina Commedia sono pallidi surrogati».

Luca Marcolivio

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