19/02/2021 di Luca Marcolivio

Malato di Sla chiede assistenza che manca da anni. Anelli (FNOMCEO): «Ecco come si spalancano le porte all’eutanasia»

La vicenda di Pasquale Tuccino Centrone, il ristoratore pugliese malato di Sla, sta suscitando reazioni e commenti solidali. A partire da Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei Medici di Bari e della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCEO), che ha lanciato un accorato appello per lo sfortunato imprenditore. Rivolendosi al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, e, all’assessore regionale alla sanità, Pierluigi Lopalco, Anelli chiedeva per Tuccino una «assistenza domiciliare stabile e continuativa», in nome della «dignità» calpestata del paziente, che, al colmo della disperazione ha chiesto per sé l’eutanasia.

Intervistato da Pro Vita & Famiglia, il presidente della FNOMCEO ha ribadito il suo punto di vista, ricordando che, casi come quello di Pasquale Tuccino Centrone, dovrebbero scuotere le coscienze, iniziando a segnare un’inversione di tendenza: meno “burocrazia” e meno “aziendalizzazione” dovrebbero essere i punti di partenza per una sanità più umana.

 

Professor Anelli, cos’è che la sanità pugliese dovrebbe fare e finora non ha fatto per Pasquale Tuccino Centrone?

«Beh, questo non dovrebbe chiederlo a me ma all’assessore Lopalco. Io, da parte mia, mi sono semplicemente fatto portavoce di questa vicenda. Dopo essere stato inserito in una chat dedicata a Tuccino, ho ritenuto fosse giusto dare voce a un disagio molto forte. Le reali condizioni di assistenza di questo paziente di Polignano non le conosco direttamente. Lui, comunque, ha preannunciato l’eutanasia, nel caso in cui non fossero cambiate le modalità di assistenza per lui. Per questo mi è sembrato doveroso che il suo grido di dolore raggiungesse l’assessore Lo Palco e il presidente Emiliano. In questo, io ho fatto semplicemente da amplificatore».

Tuccino vorrebbe l’eutanasia: che tipo di sanità ci vorrebbe per prevenire una richiesta così disperata?

«Quella di Tuccino non è stata una provocazione. Ho letto articoli sulla stampa locale in cui lui stesso conferma che l’eutanasia è proprio ciò che desidera. Si è stancato di essere preso in giro da così tanto tempo. Comprendo questo sfogo, perché la Sla è una malattia veramente difficile, che toglie a un uomo la possibilità di esprimerti, pur conservando l’assoluta lucidità. Non sono mai stati avviati percorsi che, in qualche maniera, vadano incontro alla volontà di socializzare di questi pazienti che, così, perdono qualunque stimolo. Bisognerebbe fare una riflessione molto profonda su questo. È proprio in situazioni del genere che si misurano la civiltà di un popolo o di una nazione, il rispetto per la dignità della persona. Quando la dignità non viene rispettata, allora le motivazioni che inducono i malati a farla finita diventano tante. Credo che la cosa più importante sia scritta sia sul Codice che nella Costituzione ed è il rispetto della dignità della persona. Questa dignità, però, non devono misurarla gli altri ma la persona stessa. Se ricevo un certo tipo di risposte, mi sento dignitosamente trattato. Questo rappresenta uno dei diritti inalienabili della persona. Il tema comunque non è il caso di Tuccino in sé, quanto il modo di interpretare una sanità dove l’aziendalizzazione ha completamente sostituito la reciprocità dei rapporti tra cittadino, medici e istituzioni. In casi come questi non credo servano i “numeri”. Serve, piuttosto, comprendere fino a che punto una persona si senta tutelata nella sua dignità. È questo il cambiamento che dovremmo affrontare e chiedere oggi».

A legge sulle DAT vigente, qual è, secondo lei, la strada maestra per scegliere sempre e comunque la vita?

«Nel dibattito sulle DAT, indipendentemente dagli orientamenti sull’eutanasia, tutti noi medici abbiamo ribadito un concetto importante: la lesione della dignità della persona è ciò che apre le porte all’eutanasia. Questo è un dato su cui non si può tacere. Lo sforzo che tutti dobbiamo fare è nel sollecitare il sistema sanitario a rispondere nella maniera il più possibile completa, tenendo conto delle difficoltà ma, in ogni caso, la burocrazia deve mettersi in coda, non in testa. Non si possono ignorare le esigenze dei pazienti, solo perché bisogna compilare dei moduli o adempiere a delle procedure».

La domiciliarizzazione delle cure, che lei ha proposto per Tuccino, rappresenta uno dei mezzi per riumanizzare la nostra sanità?

«Nel caso di Tuccino non credo abbia senso parlare di cure ospedaliere. Credo lui voglia vivere con la propria famiglia, nei luoghi ai lui familiari e con dignità. Quindi bisognerebbe fare in modo di trovare modalità di assistenza non soltanto di tipo economico ma anche una serie di accorgimenti logistici. Bisogna mettere la famiglia nelle condizioni di fornire al paziente tutte le opportunità anche tecnologiche oggi disponibili. Proviamo a immaginare quanti malati soffrano la lesione della propria dignità, senza alcuna possibilità di esprimersi…».

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