10/05/2022 di Giuliano Guzzo

L’Europa del (senza) futuro. Priorità gender e niente attenzione per famiglie e natalità

Eventi tragici ed epocali come la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi - con tutte le conseguenze sociali ed economiche che esse comportano, – dovrebbero aver generato, anzitutto nel mondo istituzionale e politico, un serio ripensamento in ordine alle priorità da perseguire. Invece così non sembra essere. Anzi, esistono concrete dimostrazioni del fatto che la cultura dominante continua a farla da padrona, ideologicamente parlando, ai massimi livelli.

Ne sono una prova le 49 proposte, raccolte sulla base dei contributi dei cittadini, su cui la Conferenza sul futuro dell’Europa ha ufficialmente deciso d’impegnarsi. Stiamo infatti parlando di un documento di cinquantasei pagine che parla, oltre ad ampi e vari temi come l’ambiente, la salute, i migranti, l’economia, anche di gender e fluidità di genere. Il tutto tralasciando completamente valori fondanti di qualsiasi società umana di qualsiasi tempo, come la famiglie e i concetti (ovviamente non meri costrutti antropologici) di “madre” e “padre”.

In primo luogo, inoltre, non si può non notare più che una presenza, un’assenza ed anche molto vistosa, per giunta: quella della religione. Le «radici cristiane» per le quali vanamente si spese san Giovanni Paolo II, quando decenni fa si discuteva della bozza del Trattato costituzionale europeo, non sono minimamente richiamate così come non lo è la persecuzione anticristiana, ormai presente anche nel Vecchio Continente, sia pure nella forma soft della “cristianofobia”. Ma l’Europa deve essere «neutra» rispetto a certi temi valoriali, potrebbe qui ribattere qualcuno.

Ecco, peccato che «neutrali» non siano affatto – semmai, sono scadenti -  le 49 proposte là dove, per esempio, si chiede alle istituzioni di attivarsi affinché «tutte le famiglie godano di pari diritti familiari in tutti gli Stati membri». «Tali diritti dovrebbero comprendere il diritto al matrimonio e all'adozione» (p.19), aggiunge inoltre il documento. Chiaro? Si parla (lo vedremo) dell’inverno demografico come problema -limitandosi però, come suggerimento, ad un richiamo alla conciliazione tra famiglia e lavoro – e poi, subito dopo, si passa con ben altra forza a chiedere nozze gay ed adozioni omogenitoriali.

Purtroppo, non è ancora finita. Infatti più avanti, precisamente a pagina 55, là dove si parla di sport, si chiede di «porre l'accento sui valori, in particolare la parità di genere, l'equità e l'inclusività, che possono riflettersi concretamente attraverso la pratica sportiva in tutto il sistema di istruzione». Ora, forse la parità di genere, l’equità e soprattutto «l’inclusività» sono gli stessi in base ai quali non solo si rendono le competizioni sportive passerelle e vetrine delle rivendicazioni Lgbt, ma pure del presunto diritto di atleti transgender di competere in categorie diverse da quelle cui dovrebbero per la loro identità sessuale?

Come dicevamo, inoltre, si tocca – e male – il tema dei bassi tassi di natalità. Il documento, infatti, si limita ad evocare generici impegni a «garantire un'assistenza all'infanzia di qualità, accessibile e a prezzi abbordabili in tutta l'Unione, di modo che le madri e i padri possano conciliare con fiducia vita professionale e vita familiare» (p.18): nessuna proposta concreta e, soprattutto, nessun richiamo esplicito alla natalità. Come se l’inverno demografico fosse un tema dell’infanzia e non, come ovviamente è, della natalità.

Visto il tenore del testo in questione, sembra più che lecito chiedersi dove intenda mai andare un’Europa che, come si diceva, di concreto e forte sulle sue priorità più urgenti – denatalità in primis – non dice nulla, mentre continua a promuovere quei presunti valori di uguaglianza ed «inclusività» che sono proprio alla base della grave situazione in cui versa il Vecchio Continente. Un’area che, per millenni, oltre che la culla di quella cristianità oggi rimossa, è stata il faro culturale dell’intero pianeta, quella più sviluppata e progredita, e che ora non riesce formulare non 49, ma neanche una seria proposta per il suo futuro, arrestandosi a giri di parole vuote o, peggio, ideologiche.

Per quanto paia oggi difficile tale possibilità, non resta allora che augurarsi che - dalla riscoperta delle «radici cristiane» in giù - l’Europa delle istituzioni possa essere presto protagonista di un cambio di passo. Per il semplice e laicissimo motivo che, diversamente, la Conferenza sul futuro dell’Europa rischia nei fatti di tradursi in ben altro da ciò che si è impegnata ad essere, e cioè la Conferenza sulla fine dell’Europa.

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