27/12/2013

Le associazioni GLBT dettano legge: ecco il decalogo

Titolo: “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”. Ovvero, le regole che i media dovranno seguire – secondo gli estensori del documento – nel parlare di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali/transgender (questo significa la sigla). Le ha appena pubblicate il Dipartimento per le Pari opportunità (presidenza del Consiglio di ministri), insieme all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, per educare, anzi “rieducare”, i giornalisti.
Un decalogo che distingue senza alcun margine di discussione i giornalisti buoni dai cattivi, quelli etici da quelli che scrivono cose scorrette.

E non da un punto di vista linguistico, ma proprio contenutistico: ci viene indicato come ci è lecito pensarla, pena la violazione delle norme deontologiche (con relative sanzioni dall’Ordine dei giornalisti?). La bella notizia è che l’Ordine sul suo sito non ha fatto proprie tali “linee guida”, stilate da 29 associazioni tutte di settore. La cattiva è che ha dato il patrocinio al discutibilissimo documento che ipertutela lesbiche e gay rispetto agli eterosessuali e a qualsiasi altra categoria di esseri umani.

Ma come nasce l’idea di trattare gli omosessuali con regole diverse da quelle che riguardano il resto dell’umanità? La risposta nell’introduzione del documento: l’Italia «non conosce ancora il concetto di crimine d’odio verso la comunità LGBT« ma «si sta adeguando» e «un progetto di legge contro l’omofobia è attualmente in discussione al Parlamento». Sia chiaro fin da ora che il rispetto è dovuto a tutte le persone, nessuna esclusa, e che sposiamo in toto il documento laddove chiede che gay e lesbiche non vengano insultati o discriminati in quanto tali, ma nemmeno è accettabile il contrario. Soprattutto non è accettabile il ritorno a dettami che impongano un punto di vista, tanto più se univoco, contrario alla fede, o al libero pensiero, o persino alla Costituzione. Questi i principali punti del decalogo:

TEORIA DEL GENDER
Sesso e genere non vanno confusi. Il primo riguarda gli apparati genitali, il secondo è l’insieme di “elementi psicologici, sociali e culturali” che determinano l’essere uomo o donna. Due sfere indipendenti, avverte lo scritto, perché è solo l’identità di genere che permette a un individuo di dire “io sono un uomo, io sono una donna”. Tutto è liquido, tutto è relativo. E c’è ancora chi difende l’uso di concetti come “padre” e “madre”...

LESBICHE O DONNE GAY?
Il bravo giornalista non userà parole come gay o omosessuale per le lesbiche, perché «in Italia da decenni il movimento lesbico si è legato con le istanze del femminismo», promuovendo appunto l’uso della parola. Farla entrare nell’uso comune è un passo importante, mentre l’aggettivo “saffico” richiama «atmosfere lascive e seducenti, adatte a stuzzicare anche il lettore maschio». Inutili i commenti.

IL TRANS O LA TRANS?
«Nella maggioranza delle persone il sesso biologico e l’identità di genere coincidono», ammette per una volta il testo. Ma le persone transessuali sentono di appartenere al sesso opposto e decidono per «la riassegnazione chirurgica del sesso». Come parlarne?, al maschile o la femminile? Dovremo appurare che cosa loro si sentono e, di volta in volta, «utilizzare pronomi, aggettivi, articoli coerenti con la sua espressione di genere». Giustamente si ricorda che non tutti le transessuali sono prostitute, e comunque è bandita la parola prostituta, sostituita da «lavoratrice del sesso trans».

FAMIGLIE E MATRIMONI
Se in Italia ancora non si è capito che la famiglia “tradizionale” non esiste e si insiste a pensare che quello tra due uomini e due donne non sia un matrimonio, la colpa è di tre concetti: «Tradizione, natura, procreazione». Pazienza se è la Costituzione a parlare di «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»: le “famiglie gay” dovranno essere semplicemente chiamate “famiglia”, esattamente come «quelle in cui i genitori appartengono a due generi diversi», così come parleremo semplicemente di “matrimonio”, non più di matrimonio gay, come a dire che i due concetti coincidono.

UTERO IN AFFITTO
Guai a dire le cose come stanno: è vero che se due gay desiderano procreare devono affidarsi all’utero di una donna che ospiti lo sperma di uno dei due e l’ovulo di un’altra donna ancora. È vero anche che sia l’utero che l’ovulo provengono da un mercato turpe e ricattatorio. Ma «utero in affitto contiene in sé un giudizio negativo» e «non lascia spazio alla formazione autonoma di un’opinione».

UNA CAMPANA SOLA
In caso di dibattito, no al contraddittorio: si inviteranno e intervisteranno solo persone LGBT. Sgraditi anche esperti e psicologi perché tendono a «depoliticizzare» le questioni. Vietato naturalmente sostenere che i figli hanno bisogno di due genitori, una madre e un padre.

di Lucia Bellaspiga

Leggi l’articolo sul portale web di Avvenire.

 

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