Da che mondo è mondo lo sport si basa sulla competizione, l’agonismo, il legittimo desiderio di vincere e trionfare. Il tutto ovviamente sulla base di regole certe, conosciute e rispettate da tutti gli atleti. Ma anche in questo campo, l’antiscientifica teoria del gender rovina, altera, distrugge e sovverte ogni criterio di equità.
Il gender, ricordiamolo per l’ennesima volta, è quella teoria che contro ogni dato della biologia, afferma che il sesso vero di una persona non è ciò che è iscritto nella sua natura, ma ciò che il soggetto “sente” e dice di essere. Così, la sacrosanta distinzione tra gare maschili e femminili, se un uomo si dichiara donna o viceversa, scompare ed anzi è classificata come pregiudizio.
Feminist post ha mostrato le conseguenze di questa visione, a proposito degli exploit dell’atleta Valentina Petrillo, la quale - nata Fabrizio - ha iniziato a vincere medaglie e trofei nella sua disciplina – la corsa - solo dopo che, nel 2019, il suo io più profondo ha iniziato a percepirsi come donna, portandola così alla transizione di genere.
Il 12 marzo infatti, Valentina (ex Fabrizio) ha nuovamente sbaragliato le avversarie ad Ancona, raggiugendo in tempi piuttosto brevi gli 8 titoli master. Un bella performance. L’atleta, però, quando gareggiava con gli uomini, prima della transizione quindi, non ne aveva conseguito nemmeno uno. Un caso?
Secondo lo statistico Marco Alciator, presente alla più recente prestazione di Valentina ad Ancona, la 200 metri nella categoria F50 (femminile), «quando Petrillo e le quattro atlete entrano in pista si nota subito la diversa fisicità». Valentina Petrillo ha vinto, seppure di un soffio, sulla concorrente Cristina Sanulli. E questo, nota l’osservatore, perché «ancora oggi Petrillo è in modo incredibile autorizzato a competere nella categoria femminile». Con il tempo che ha ottenuto nella 200 metri femminile, e che gli ha dato il podio, nella categoria maschile, si sarebbe classificato 14°».
E questo è avvenuto pochi giorni dopo la festa delle donne dell’8 marzo. Ma qual è il rispetto del sesso femminile, se certi uomini usano i loro “talenti naturali” come una scorciatoia per vincere facile? Dicendo ciò, in fondo, non ce l’abbiamo con Valentina, la quale può dire in verità: se il sistema sportivo lo permette, io che colpa ne ho?
Ma il sistema lo permette solo perché il totalitarismo gender fa paura e crea panico nella società. Guai infatti a dire, a scrivere e perfino a pensare che donna si nasce, non si diventa. Si rischia l’insulto, l’accusa di discriminazione e perfino la denuncia.
Ma allora che si fa? «La vincitrice morale - ribadisce Marco Alciator - è sicuramente Cristina Sanulli, con un tempo che le sarebbe valso il primato italiano di categoria». Senza dubbio, ma non è la vincitrice effettiva, purtroppo. E’ come un doping a cielo aperto, su cui però nessuno osa interferire.
La Sanulli, a margine della sconfitta, ha dichiarato, anche a nome delle altre atlete: «non ci sentiamo alla pari, proprio perché la struttura fisica [di Petrillo ndr] è maschile». Un’altra atleta, Agnese Rossi, ribadisce l’ovvio: «Lo spirito sportivo prevede di riconoscere quando ci sono atlete più forti, ma la competizione deve avvenire con il rispetto della categoria: con atlete dello stesso sesso, non con chi ha mantenuto corpo da uomo».
Un piccola nota di cronaca a margine della gara: Valentina Petrillo - avvertendo il nervosismo degli spalti al momento della premiazione – ha perso il controllo e urlato: «Dedicata a tutte quelle che mi vogliono male». Nonostante le tensioni per queste competizioni poco etiche, parteciperà ai Mondiali di atletica master che si terranno a Torun, in Polonia, dal 26 marzo al 1° aprile.
La rabbia della gente, però, non è frutto di poca sportività o di partigianeria, come spesso accade negli stadi. No. Deriva dalla frustrazione per la palese ingiustizia e la paura dell’onnipotente lobby Lgbtq, la quale, per i suoi scopi ideologici, può cambiare le carte in tavola, riscrivere la storia, annullare la scienza e falsare lo sport.