11/03/2021 di Manuela Antonacci

La Unilever elimina la dicitura “normale” dai suoi shampoo, considerata discriminatoria

In genere, nel settore dei supermercati, dedicato all’igiene e la cura della persona, si trovano shampoo per i capelli secchi, balsamo per i capelli ricci, shampoo per capelli normali…ah..no!

Lo shampoo per capelli “normali” pare sia diventato politicamente scorretto e debba anch’esso, almeno nella dicitura, subire la purga dell’inclusività a tutti i costi, finanche a costo di cadere nel ridicolo.

Stiamo parlando della Unilever, un’azienda di prodotti per l’igiene personale che ha deciso di abbandonare il termine "normale" presente sulle confezioni dei suoi shampoo.

Peraltro, l’azienda in questione, è titolare di oltre 400 marchi (tra cui Dove, Axe e Sunsilk) che non riporteranno, d’ora in poi, più questo “scandaloso” termine. «La decisione è uno dei tanti passi che stiamo compiendo per sfidare i ristretti ideali di bellezza, mentre lavoriamo per aiutare a porre fine alla discriminazione e per sostenere una visione più inclusiva di bellezza». Questa la giustificazione addotta dall’azienda.

Viene da chiedersi in che modo il dato oggettivo che riguarda la caratteristica di un capello che non è né grasso né secco, ma appunto “normale” possa creare complessi o discriminazioni in chicchessia.

Ma la cosa che lascia ancora più sbigottiti è che pare che, alla base di questa incredibile presa di posizione, ci siano i risultati di un’indagine condotta su persone di diversa nazionalità, dalla quale emergerebbe che sette intervistati su dieci riterrebbero che l'uso della parola "normale" sulle confezioni abbia un impatto negativo. E per i più giovani (dai 18 ai 35 anni) la percentuale salirebbe a 8 su 10.

  Ma la verità a noi pare che sia un’altra e anche abbastanza evidente. In realtà siamo di fronte all’ennesima deriva linguistico- culturale del politicamente corretto, che, anzi, parte proprio dalla lingua, ovvero, il medium della comunicazione, per eccellenza, per potersi affermare, anzi imporre. Ed è così che anche a suon di epurazioni linguistiche, ma anche di vere e proprie storpiature lessicali, in alcuni casi, che si afferma una visione della realtà che normalmente il linguaggio sarebbe chiamato a descrivere ma che invece, in questo caso ha la pretesa di “sovrascrivere”, tutta concettualmente artefatta. Perché tutti i migliori ( o peggiori?) totalitarismi si basano proprio sull’ostinato non riconoscimento del reale, in quanto si pretende di sovrapporre la realtà partorita dalla propria immaginazione a quella vera, partendo proprio dall’adeguamento “ad hoc” di ogni mezzo comunicativo, per arrivare a ciò.

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