05/03/2024 di Sabina Pirchi

La scrittrice trans: «ecco perché l’identità gender è un completo disastro e ci danneggia»

Dal 2016 Debbie Hayton, una scrittrice transessuale, ha intrapreso una campagna contro l’autoidentificazione di genere proprio per proteggere, paradossalmente potrebbe sembrare, i diritti delle persone transessuali.

Fu tra le prime, infatti, ad intuire che dare la possibilità di essere identificati con un determinato sesso a prescindere da quello biologico significava in realtà dare questa possibilità a chiunque, con ripercussioni pesantissime. Se tutti, infatti, possono auto-identificarsi come vogliono – con la motivazione di rispondere ad un bisogno profondo o per sopperire a debolezze o trovare scappatoie – anche chi poi davvero compie (dunque conclude davvero) un percorso di transizione di genere può trovarsi paradossalmente discriminato.

Questo il senso, dunque, per cui Debbie Hayton continua a lottare, grazie anche alla finestra di visibilità datale recentemente dalla giornalista Brendan O’Neill, nel suo podcast “The Brendan O'Neill Show”. Le sue posizioni sono oggi sempre più condivise anche perché alcuni casi di cronaca – a discapito di persone transgender – hanno rivelato come proprio l’auto identificazione di se stessi ha portato a derive talvolta anche tragiche.

Pensiamo per esempio ai recenti casi dei violenti stupratori noti come “Isla Bryson”, in Scozia, e “Barbie Kardashian” in Irlanda, riconosciutisi donne – il primo addirittura a processo iniziato – e per questo trasferiti in carceri femminili, che hanno sollevato preoccupazioni nell’opinione pubblica e nelle attiviste per i diritti delle donne.

Una fondamentale responsabilità viene da attribuita da Debbie Hayton alla classe politica, che preoccupata di apparire inclusiva e progressista ha finito, un po’ in tutti i paesi, con il delegare a organizzazioni esterne il suo pensiero in materia, forse credendo che politiche come quelle riguardanti l’identità di genere abbiano un impatto (peraltro secondo alcuni solo positivo, ma non è così) solo sulla comunità LGBT.

Si spera che, almeno i nostri politici, facciano tesoro delle esperienze e degli avvertimenti che arrivano da questi paesi: non si può essere inclusivi al punto da mettere qualcuno in pericolo.

 

 

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