22/03/2023 di Giuliano Guzzo

La più autorevole rivista medica smentisce l’approccio transgender per i bambini

E se quello sui «baby trans» non fosse altro che un colossale esperimento del tutto privo di basi scientifiche? Fino a qualche mese fa, a porsi un simile dilemma erano in prevalenza, se non esclusivamente, attivisti e militanti conservatori e pro family. Ora però il clima è decisamente cambiato e sono le stesse riviste scientifiche peer review a misurarsi con il dubbio che migliaia di giovani, in questi anni, siano stati avviati al «cambio di sesso» in modo affrettato e in assenza di protocolli medici degni di questo nome.

Va in tale direzione un intervento uscito nei giorni scorsi sul British Medical Journal, che sarebbe già significativo solo per il prestigio della rivista in questione, fondata nel 1840 e considerata tra le quattro migliori al mondo in ambito medico. Il fatto è che questo intervento è stato scritto non da uno qualsiasi, bensì da Kamran Abbasi, docente all’Imperial College di Londra e, soprattutto, caporedattrice della prestigiosa rivista. Ancor più rilevante, poi, è il contenuto di un intervento che, in sostanza, smaschera l’inganno medico finora perpetrato sulla pelle dei minori con disforia di genere. Anzitutto, Abbasi denuncia la politicizzazione della ricerca medica dato che «quando si tratta di disforia di genere, proprio come con il Covid-19, c'è poco spazio per un dialogo costruttivo. Purtroppo, ciò che soffre è il benessere delle persone».

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A seguire, si segnala che quanto si sta facendo sui «baby trans», sottoponendoli ai trattamenti ormonali, è di fatto un esperimento privo di basi solide, un vero e proprio abuso clinico. «A sempre più giovani vengono offerti interventi medici e chirurgici per la transizione di genere, a volte aggirando qualsiasi supporto psicologico», si legge infatti sul British Medical Journal, «gran parte di questa pratica clinica è supportata dalla guida di società e associazioni mediche, ma un esame più attento di tale guida rileva che la forza delle raccomandazioni cliniche non è in linea con la forza delle prove. Il rischio di un trattamento eccessivo della disforia di genere è reale».

«Se abbiamo a cuore i migliori interessi dei giovani, allora sicuramente il nostro dovere è offrire un'assistenza informata sulle prove», continua il caporedattore della prestigiosa rivista britannica, «e se la base di prove è debole, dobbiamo fornire il supporto necessario ai giovani e dare priorità alla ricerca per rispondere a domande su questioni che stanno causando una grande angoscia». Abbasi conclude con la critica a quelle che chiama «leggi draconiane», con riferimento agli Stati americani – come per esempio il Kentucky e la Florida - che stanno bloccando la somministrazione dei bloccanti della pubertà a dei minori; ma il pezzo forte e condivisibile del suo intervento, lo si ripete, resta una denuncia: mancano prove per avviare, come sono stati avviati, un sacco di giovani alla transizione di genere.

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Anche in Paesi come la Svezia, la Francia, Australia e Nuova Zelanda – come ha segnalato sempre il British Medical Journal, in un recente articolo di quest’anno – le società mediche hanno iniziato a prendere le distanze dalla medicalizzazione precoce dei baby trans. Abbastanza clamoroso, inoltre, il recente dietrofront della Norvegia. L’Ukom, l’agenzia norvegese per la sicurezza sanitaria, ha infatti da poco diffuso nuove raccomandazioni nelle quali afferma di ritenere «sperimentali i bloccanti della pubertà, gli ormoni cross-sex e la chirurgia per bambini e giovani, determinando che le attuali linee guida "affermative di genere" non sono basate su prove e devono essere riviste» dato che «tutti gli interventi ormonali e chirurgici devono essere limitati alle impostazioni di ricerca per garantire protocolli chiari, salvaguardia e follow-up adeguato».

Ragioni di enorme prudenza verso i minori con disforia di genere derivano anche dal fatto che, spesso, si tratta di giovani con problemi pregressi. Non solo: anche il boom di casi dovrebbe far pensare.  Come segnala Lisa Marchiano, scrittrice e analista junghiana e docente al Philadelphia Jung Institute, l'aumento del numero di bambini e adolescenti che si oggi autodiagnosticano come transgender è infatti troppo anomalo per essere semplicemente assecondato, dato che per trovare un precedente simile occorre guarda indietro nella storia, per esempio all'esplosione del numero di giovani donne che, si diceva all’epoca, mostravano sintomi di isteria alla fine del XIX secolo.

Il sospetto dilagare del boom di «baby trans», specie tra le giovanissime, unitamente all’assenza di prove sulla validità dei trattamenti per la riassegnazione di genere proposti – assenza, come si è visto, oggi denunciata apertamente perfino da riviste come il British Medical Journal, è un’ottima ragione per dire basta all’“approccio affermativo del genere” e all’agevolazione di percorsi e trattamenti con bloccanti della pubertà che rischiano di cagionare molto più dolore di quello che, in teoria, dovrebbero eliminare. Per non parlare, infine, di conseguenze sulla salute di questi giovani che possono risultare, e spesso risultano, purtroppo irreversibili.

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