11/06/2020 di Giuliano Guzzo

La petizione internazionale contro il gender sottoscritta anche da Pro Vita & Famiglia

«Non ad una convenzione ideologica». Si intitola così la petizione, che già ha totalizzato la bellezza di oltre 55.000 sottoscrizioni, che Ordo Iuris in collaborazione con altre organizzazioni europee - tra cui Pro Vita & Famiglia – sta promuovendo contro l'adozione da parte dell'Unione Europea della Convenzione di Istanbul, e indirizzata alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

«Benché non ci siano dubbi sul fatto che l’Unione europea dovrebbe compiere ogni sforzo per combattere la violenza domestica», recita il testo della petizione, «siamo convinti che questo controverso documento non solo non contenga soluzioni efficaci in tal senso, ma introduca contemporaneamente varie disposizioni rischiose che hanno un impatto diretto e negativo sul bene della famiglia e dei suoi membri». Di una bocciatura senza se e senza ma della Convenzione di Istanbul, definita appunto «estremamente ideologica».

Una valutazione estremamente critica oppure detta Convenzione contiene davvero profili critici? Sfortunatamente, non solo i profili critici ci sono, ma risultano pure numerosi. Tanto per cominciare per via dell’uso frequentissimo del termine «genere», aspetto abbastanza curioso dato che il documento nasce per contrastare – a prima vista, almeno – la violenza contro le donne. La parola «donna» non era forse già, di per sé, abbastanza precisa? Tanta insistenza sul termine «genere» appare oggettivamente qualcosa di sospetto.

Ma andiamo avanti con il testo, che si rivela progressivamente meno limpido. Il comma 3 dell’art. 4 della Convenzione fa infatti capire come il termine «genere» non sia usato come sostitutivo di «sesso», bensì con un suo significato autonomo. Diversamente, non si sarebbe scritto che «L'attuazione delle disposizioni della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti […] deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, […] sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere».

Allo stesso modo – continuando con gli elementi di perplessità - l’art 14 comma 1 allude ad «azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati».

Un riferimento, quest’ultimo, che – alla luce dei richiami «all’identità di genere» - alimenta più di un sospetto circa la natura strumentale della Convenzione di Istanbul che, se letta, appare sostanzialmente un cavallo di Troia per finalità ben diverse da quelle del semplice, e sacrosanto, contrasto alla violenza contro le donne. Fa dunque non bene ma benissimo Ordo Juris a chiedere alla Presidente von der Leyen di attivarsi affinché questo documento non venga approvato.

Visti i precedenti - e soprattutto considerando le posizioni etiche non esattamente pro life né pro family in questo caso della stessa von der Leyen - non è forse il caso di farsi particolari illusioni. Tuttavia, l’idea di una petizione è sacrosanta e va sostenuta senza riserve; anche perché, come già si diceva, il rischio concreto è quello che con la Convenzione di Istanbul si legittimi un indottrinamento gender nelle scuole.

Tanto più che parliamo di un fenomeno che, sia pure con varie sfumature, risulta già emerso in ambito scolastico, come proprio Pro Vita & Famiglia denuncia costantemente. Ecco che allora, se malauguratamente dovesse passare la Convenzione in questione, l’ideologia di genere troverebbe un formidabile appiglio per continuare a circolare, ora con il pretesto della lotta alla discriminazioni, ora con quello della lotta alla violenza domestica, su cui appunto si basa il documento di Istanbul.

Ma l’educazione dei bambini e il primato delle famiglie su questo versante sono valori troppo importanti per essere delegati a qualsivoglia istituzione o peggio ancora inquinati, con pretesti magari anche nobili, dall’ideologia di genere. Ne consegue, per quanto la strada appaia in salita, come occorra fare tutto il possibile, davvero, affinché l’Unione europea fermi un documento che determinerebbe molte più conseguenze negative che benefici, sempre che da tale Convenzione qualche beneficio, poi, ne possa realmente derivare.
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