16/07/2020 di Manuela Antonacci

La nuova serie choc di Netflix con un bimbo transgender

Un ennesimo assist di Netflix all’ideologia gender, propinata stavolta ai bambini è il succo di “The Baby-Sitters Club”, programma disponibile proprio sulle piattaforme kids.  Una serie televisiva che racconta la storia di cinque ragazze delle medie che avviano un’attività di babysitter, in cui, una di loro dovrà badare ad una bimba transgender e si troverà alle prese con il cambiamento che la piccola ha subito.

In realtà, la scoperta, si svolge nel corso del quarto episodio: Mary Anne, la baby sitter, viene contattata dalla madre di Bailey, interpretata da Kai Shappley, un bambino di 9 anni che si percepisce femmina ed è vestito come tale. Nel giocare con Bailey che appare come una graziosa femminuccia, fingendo un tea party nella sua stanza, Bailey sporca il suo vestitino rosa, così apre l’armadio per cercare un cambio pulito ma trova solo abiti maschili.

In realtà si tratta degli abiti del “vecchio” Bailey. «Fu allora che capii – spiega Mary Anne allo spettatore -: Bailey era una bambina e i suoi nuovi vestiti aiutano le persone a vederlo».

Ma potevano fermarsi a questo messaggio già di per sé estremamente spiazzante per un pubblico di pre adolescenti? Ebbene no, perché, affinché il discorso possa arrivare forte e chiaro ai ragazzini, nella scena successiva, Mary Anne, cerca di chiarirsi le idee con la sua amica Dawn, il cui padre è gay (immancabile ormai l’imposizione di almeno un personaggio omosessuale in ogni serie televisiva e film che “si rispetti”) che le spiegherebbe la “scelta” di Bailey, con questa improbabile metafora: «È così: sei destrimano o mancino?”. “Destro», risponde Mary Anne. «E se qualcuno provasse a farti fare tutto con la mano sinistra, sarebbe davvero strano, vero? Beh, è ​​così che si sente Bailey. Allo stesso modo in cui sai di essere destrimano, Bailey sa che è una ragazza… Vogliamo tutti che il nostro esterno corrisponda al nostro interno».

Peccato che qui stiamo parlando di identità sessuale che forse ha un’importanza un tantino diversa dall’essere destrorsi o meno, ma soprattutto, di un elemento che ha a che fare con altre due dimensioni umane costitutive: quella psicologica e soprattutto quella biologica. E invece, al contrario, qui il messaggio ingannevole è che, quella che è a tutti gli effetti una scelta del protagonista, viene proposta come una condizione “innata”, mentre, il richiamo al proprio sesso biologico, una forzatura crudele. Insomma un inganno ben confezionato, un gelato al veleno, da propinare alle menti dei più giovani, ancora acerbe, ancora in piena formazione.

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