14/11/2020 di Francesca Romana Poleggi

La "legalizzazione dell'aborto clandestino" in Italia

È incredibile.
Nel 2010, le linee guida emanate a seguito dell’introduzione dell’aborto farmacologico in Italia, le direttive dell’Aifa e i pareri dei vari organi di consulenza erano pieni di attenzioni e di cautele per la somministrazione della Ru-486, cioè per l’aborto farmacologico.
Si tratta di una pillola di mifepristone, una sostanza che impedisce il nutrimento al bambino nel grembo materno e ne provoca la morte. Dopo un paio di giorni, la madre deve assumere un’altra sostanza, una prostaglandina, per provocare le contrazioni e l’espulsione del piccoletto. Questa procedura fa capire perché nel 2010 si prevedeva non solo che alle donne fosse garantito il consenso informato, ma anche la firma di un documento a parte in cui si dichiaravano edotte della metodica, dei rischi che comportava e della necessità di collaborare con i medici, seguendo con attenzione le loro direttive.
La somministrazione della pillola doveva avvenire in regime di ricovero. Questo doveva protrarsi tutto il tempo necessario per il completamento dell’aborto (anche tre giorni). Poi la paziente monitorando il proprio stato di salute, doveva impegnarsi a presentarsi a un controllo tre settimane dopo le dimissioni.
Queste cautele erano necessarie perché è ovvio che delle pillole che uccidono un bambino non possano essere un balsamo salutare per la madre che lo porta in seno. Infatti, ci sono molti rischi di effetti avversi, soprattutto di emorragie e infezioni: è una procedura 10 volte più rischiosa di quella chirurgica.  
 
Tutto questo, nel 2010, in qualche modo era tenuto in conto. 
 
Ben presto, però, alcune Regioni hanno cominciato a disattendere tali Linee guida, finché nell’agosto del 2020, le hanno - incredibilmente - cambiate. Le cautele, ufficialmente, non sono più necessarie.
Non è cambiata la composizione della Ru-486: mifepristone e prostaglandine sono sempre gli stessi; non è cambiata di certo la fisiologia femminile. Eppure, il Consiglio Superiore della Sanità e l’Aifa hanno assentito all’uso della Ru-486 anche senza ricovero, anche fuori dall’ambiente ospedaliero, e fino alla nona settimana di gestazione, anziché la settima: persino il foglietto illustrativo del Mifegyne (mifepristone) avvisa che più tempo passa più aumentano i rischi di effetti avversi. 
 
Quelli che urlavano contro “la piaga dell’aborto clandestino”, a tutela della vita e della salute delle donne, oggi plaudono alla scelta del Ministro Speranza, che lascia le donne sole, a casa, nel sangue e nel dolore, ad assistere alla morte del figlio che hanno in grembo e a dover valutare se dolore e sangue sono di entità tale da dover correre al pronto soccorso.  
 
Non solo: il parere del CSS (dove siede solo un ginecologo, il prof. Scambia del Gemelli, che è sicuramente contrario all’aborto) è stato secretato: perciò non è dato sapere per quali motivi scientifici si è ritenuto opportuno estendere l’impiego di quello che il grande genetista Jerome Lejeune chiamava “il pesticida antiumano”.
 
Infatti, motivi scientifici non ce ne sono: è stata una scelta politica e ideologica. Molti hanno anche rilevato che queste nuove disposizioni sono in contrasto con la stessa legge 194/78 che ha legalizzato l’aborto. Anch'essa prevede certe cautele, soprattutto nell’art.8.
 
Riflettendoci bene, però, come ha scritto anche Tommaso Scandroglio (esimio giurista e bioeticista), la ratio della legge 194 non è contraddetta dalle nuove Linee guida: piuttosto sono le sue stesse norme, come l’art. 8, che non le obbediscono (!).  Infatti, ed è sempre più evidente,  l’abortismo è radicato nella “cultura della morte” che non ha alcun interesse a promuovere né la salute delle donne, né la soluzione di problemi sociali (come quelli che possono derivare da una gravidanza indesiderata). L’aborto viene sempre più banalizzato (una pillola e via), perché lo scopo ultimo - diabolico - di questa mentalità, che  purtroppo è sempre più dominante, sempre più “politicamente corretta”,  è la distruzione dell’essere umano. La distruzione psichica e morale delle giovani donne, la soppressione violenta del numero più grande possibile di piccoli innocenti indifesi.
 
(pubblicato su Il Settimanale di Padre Pio, n.45 del 2020)
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