E’ un Brasile dalla doppia faccia quello che in pochi giorni ha preso due decisioni tanto storiche quando una positiva e una pericolosissima. Due facce della stessa medaglia, quella del genere. Da una parte, infatti, è arrivato lo stop alla somministrazione a bambini e adolescenti di farmaci bloccanti la pubertà, mentre dall’altra è arrivata la sentenza che riconosce un fantomatico genere “neutro” sui documenti. Da un lato, dunque, un passo in avanti importante per la tutela della salute dei minori, ma dall’altra un indietreggiamento sulla tutela delle donne e, in generale, sul riconoscimento medico di ciò che la biologia dice dalla notte dei tempi.
La decisione che protegge i bambini
Partiamo dalle buone notizie, dunque dal fatto che il Paese sudamericano ha vietato i bloccanti della pubertà per bambini e adolescenti e ha inoltre innalzato la soglia dell’età minima da 18 a 21 anni per sottoporsi a interventi chirurgici di transizione di genere con effetto sterilizzante. È quanto infatti ha stabilito recentemente in una risoluzione il Consiglio federale della medicina (CFM) del Brasile. Un divieto di prescrizione di bloccanti ormonali che non si applica ai casi di pubertà precoce o di altri disturbi endocrini, ma solo in quelli che riguardano minori che, presumendo di essere nati nel corpo sbagliato, manifestino il desiderio di effettuare una transizione di genere. Tale risoluzione del CFM innalza anche da 16 a 18 anni l’età minima per iniziare la terapia con ormoni del sesso opposto, in vista di una pseudo femminilizzazione dei maschi o di una pseudo mascolinizzazione delle femmine. In realtà, nel caso di interventi di riassegnazione di genere, l’età minima per farne richiesta rimane quella dei 18 anni, salvo quelli «con potenziale effetto sterilizzante» (quasi che non siano tutti poi di fatto tali, ndr) per i quali l’età minima è ora di 21 anni. Eppure questa delibera del CFM è stata subito tacciata di conservatorismo e omofobia dalle solite lobby Lgbtqi+ e liberal progressiste
La sentenza che mette in pericolo le donne
Solite lobby Lgbtqi+ e liberal progressiste che, però, sembrano aver vinto - ahinoi - un’altra battaglia, ovvero quella contro la scienza e la biologia per quanto riguarda il binarismo uomo-donna. E’ proprio di ieri, infatti, la notizia che la Corte Suprema di Giustizia del Brasile ha per la prima volta nella storia del Paese sudamericano riconosciuto ufficialmente il genere “neutro” di una persona sul suo certificato di nascita, di fatto “rettificando” quello registrato in origine. Il caso di specie ha riguardato una persona che inizialmente aveva chiesto di essere identificata come uomo dopo aver iniziato una terapia ormonale sostituiva. In questo caso - ovviamente - la comunità Lgbtqia+ ha parlato di «grande traguardo» e di «passo storico». Beh, sì, ma verso il baratro.
E in Italia?
Nel nostro Paese per quanto riguarda il genere “neutro” forse possiamo fare, per ora, sonni tranquilli, visto che sembra quanto mai improbabile che simili assurde richieste vengano accolte tanto dalla politica quanto dalla società, nonostante anche in Italia non manchino le pressioni delle lobby arcobaleno per legittimare la fluidità sessuale, il non-binarismo e altre amenità anti-scientifiche di questo tipo.
Per quanto riguarda, invece, i bloccanti della pubertà il discorso è purtroppo diverso e molto più concreto e reale. Il problema c’è, eccome, anche se ultimamente sembra si stia andando in una direzione più o meno simile a quella del Brasile. Dopo lo scandalo dell’Ospedale Careggi di Firenze - relativamente alla totale assenza di assistenza psicoterapeutica e psichiatrica per quanti presumano di essere nati nel corpo sbagliato e si apprestino alla transizione di genere - il Comitato nazionale di Bioetica ha manifestato la volontà di mettere in discussione la somministrazione di tali farmaci bloccanti la pubertà, invocandone «un uso etico» già al termine dello scorso anno. Il suo Presidente, il professor Angelo Vescovi, ha rilevato obiettivamente che «oggi disponiamo di più informazioni: dati longitudinali e follow up, Paesi che frenano. E anche molti casi di detransizione. L’accesso al trattamento senza i filtri normalmente imposti da medicina e psicologia è stato facilitato da una pressione sociale molto forte». E in effetti sono sempre più documentati in letteratura sul piano scientifico i danni irreversibili di questi farmaci, dall’osteoporosi ai rischi cardiaci, dalle malattie cardiovascolari alle evidenti disfunzioni sessuali. D’altra parte è indubbio che inibendo lo sviluppo sessuale in fieri dei minori si finisce in pratica per medicalizzarli a vita con ingenti ricadute anche sul piano psicologico, come testimoniano drammaticamente anche le vicende personali di tanti detransitioners.