17/03/2022 di Toni Brandi

La censura violenta e femminista contro Pro Vita & Famiglia

Censura e clima da stato totalitario. Sono i due punti in comune delle azioni che hanno tentato di tappare la bocca a Pro Vita & Famiglia per aver intrapreso una campagna informativa e di sensibilizzazione a favore delle donne e contro la pratica dell’aborto.

Il 3 marzo, infatti, la onlus ha fatto partire una serie di affissioni in tutta Roma, seguita poi da iniziative simili e camion-vela in tutta Italia, per la Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo. Manifesti chiari e altrettanto innocui, con un messaggio semplice: “Potere alle donne? Facciamole nascere”. Un’iniziativa, quella di Pro Vita & Famiglia, per difendere tutte le donne, «anche quelle ancora non nate» come si legge in un comunicato stampa, e per denunciare «il dramma degli aborti selettivi, che ogni anno sterminano milioni di bambine in tutto il mondo». Non solo Roma, dunque, ma anche Milano, Palermo, Bari, Napoli, Bologna, Pontedera e varie provincie dell’Abruzzo sono state protagoniste di affissioni o camion-vela. In più, proprio l’8 marzo, Pro Vita & Famiglia si è recata direttamente a Bruxelles, davanti al Parlamento Europeo, e con un camion-vela a led ha manifestato con lo slogan “Uguaglianza di genere? Comincia nell'utero!". La protesta davanti alla sede istituzionale dell’Ue ha voluto ribadire il «dilagare di femminicidi prenatali che rende oggi l'aborto tra le prime cause di diseguaglianza di genere a livello globale» e rispedire al mittente le accuse di essere “pericolosi nemici” delle donne, rivolte proprio a Pro Vita & Famiglia lo scorso 10 febbraio durante un’audizione al Parlamento Europeo. All’Unione europea, inoltre, è stato chiesto dalla Onlus una moratoria internazionale per promuovere una forte sensibilizzazione sociale e culturale contro il fenomeno degli aborti selettivi.

A Roma, però, l’iniziativa ha alzato un polverone di polemiche, indignazione e invettive, che prima a parole e poi con i fatti – anche violenti – ha investito la campagna. Una parte della politica romana, infatti, ne ha subito richiesto la rimozione, in particolare Paolo Ferrara, consigliere comunale del Movimento 5 Stelle; Michela Cicculli, presidente della commissione Pari opportunità di Roma ed esponente di Sinistra civica ecologista; Leone Barilli, segretario di Radicali Roma e tutti i consiglieri capitolini del Partito Democratico. Immediata è arrivata l’azione dell’assessora alle Attività Produttive e Pari Opportunità Monica Lucarelli, che ha prima annunciato e poi disposto l’effettiva rimozione delle affissioni. Una misura censoria giustificata tirando in ballo, in modo pretestuoso, l'articolo 12-bis del regolamento comunale, secondo cui è vietata l'esposizione pubblicitaria che «contenga stereotipi e disparità di genere, veicoli messaggi sessisti, violenti o rappresenti la mercificazione del corpo femminile e il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici».

Dalla censura delle idee si è passati poi al braccio armato del progressismo, con protagonisti alcuni collettivi femministi. I manifesti, prima della rimozione, sono stati strappati e imbrattati, con le solite sigle femministe tra le quali spicca come sempre “Non Una Di Meno”. Poi si è passati a fatti ancor più gravi: durante la manifestazione per la pace del 6 marzo scorso (alla faccia della pace!), in pieno pomeriggio, un gruppo di persone ha infatti vandalizzato e imbrattato la sede nazionale di Pro Vita & Famiglia, con scritte e insulti inneggianti l’aborto libero e la fine di un fantomatico patriarcato. Azione replicata la sera successiva, in pieno stile squadrista e per di più rivendicata dal collettivo femminista studentesco "La Lupa in Lotta". Un blitz di oltre trenta persone incappucciate con striscioni, fumogeni e vernice lanciata su muri, saracinesche e vetrate. Da parte dell’amministrazione guidata da Roberto Gualtieri neanche l’ombra della solidarietà, né le distanze prese da questi movimenti.

Come se non bastasse, l’Aula consiliare del Comune di Roma ha dato conferma della volontà censoria della sua amministrazione. Giovedì 10 marzo, infatti, durante il Consiglio Comunale, la consigliera ed esponente di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni – appoggiata dal resto del suo gruppo – ha esposto in Aula il manifesto incriminato di Pro Vita & Famiglia, protestando contro la rimozione delle affissioni e parlando di «grave censura» ai danni della Onlus. La “democratica” risposta della maggioranza è stata quella di sospendere la seduta e poi, su iniziativa della presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli, prima ammonire e poi far allontanare letteralmente di peso dall’Aula la consigliera Mennuni, che è stata bruscamente e brutalmente portata via. Una protesta politica che – e di ciò Pro Vita & Famiglia è grata a FdI e Lega – non si arresterà, poiché proprio il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia e quello della Lega hanno presentato un’interrogazione formale alla Giunta per chiedere chiarimenti sulla censura dei manifesti, considerata come lesiva del diritto di espressione tutelato dalla Costituzione Italiana. Così come ha fatto il senatore Simone Pillon, che ha presentato un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, in cui ricostruisce i vari passaggi della vicenda e chiede ulteriori chiarimenti sulla mancanza di libertà nel poter difendere la Vita.

Infine Pro Vita & Famiglia sta già agendo per via legali – tanto nei confronti dell’amministrazione dopo la rimozione dei manifesti, quanto verso i collettivi femministi per gli atti vandalici – e prosegue con la sua battaglia per difendere la Vita e le donne e impedire a chiunque di farsi tappare la bocca dal diffondere queste verità con nuovi camion-vela in tutta Roma a partire dall’11 marzo.

Articolo già pubblicato su Panorama


 

 

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