03/10/2019

Italia: il sondaggio (manipolato) sull’eutanasia

Quasi 9 italiani su 10 vogliono una legge sull’eutanasia. È la notizia esplosiva derivata dagli esiti di un sondaggio della SWG secondo cui, appunto, il 93% degli italiani è favorevole ad una legge sull’eutanasia. Nel dare questa notizia, si è anche precisato come quella pro “dolce morte” sia una tendenza in crescita. «La percentuale dei favorevoli è costantemente aumentata negli ultimi anni», ha infatti spiegato Enzo Risso, direttore scientifico SWG, che ha aggiunto: «Questo fenomeno segnalala notevole secolarizzazione della società italiana che ha finito per non sentirsi più in linea con le posizioni della Chiesa e alcuni valori del cattolicesimo».

Fin qui la notizia com’è stata presentata. Ora però urgono doverose precisazioni. Tanto per cominciare rispetto al quesito con cui è stato sondato il campione, che è il seguente: «Lei sarebbe favorevole ad una legge che, a determinate condizioni, consentisse l’eutanasia?». È a questa domanda che l’89% del campione ha risposto affermativamente. Il che non può non far saltare all’occhio almeno un paio di aspetti fondamentali e che non possono che ridimensionare l’entusiasmo con cui è stato presentato questo sondaggio. Il primo riguarda le «determinate condizioni» di cui parla il citato quesito: ebbene, con «determinate condizioni» si può intendere sia il malato terminale sia il disabile gravissimo sia, semplicemente, il depresso deciso a farla finita.

Si tratta, cioè, di un’espressione troppo generica, quel «determinate condizioni», per capire davvero quale sia il pensiero degli italiani sul diritto di morire. Non solo. Nel quesito si parla di «eutanasia» come se ci fosse totale ed univoca convergenza su questa parola. Peccato che così non sia non solo tra i cittadini, ma neppure tra i medici. Fanno a questo proposito pensare i risultati di una ricerca dell’università di Milano-Bicocca su 600 professionisti della salute resa nota nel 2006 con la quale si chiedeva a costoro di definire l’eutanasia.

Ebbene, 133 medici definirono la pratica come sedazione terminale, 130 come aiuto al suicidio, 115 come mancato intervento necessario alla sopravvivenza di un malato, 95 come sospensione dei trattamenti, 72 come sospensione della nutrizione artificiale, i rimanenti come le cure che accelerano la morte. Morale della favola: una grande e confusionaria varietà di risposte, senza che nessuno, a quanto pare, abbia definito correttamente l’eutanasia quale azione o omissione che, allo scopo di eliminare la sofferenza di un paziente, ne cagiona la morte.

Non è un caso che gli stessi esperti di sondaggi, non da oggi, lamentino l’esistenza di «un malinteso senso del concetto di eutanasia», com’ebbe a spiegare ad Avvenire il 19 gennaio 2007 Gian Maria Fara, sociologo da quasi 40 anni presidente di Eurispes. Ciò nonostante, tutte queste rilevazioni – come queste recenti di SWG - vengono presentate come totalmente affidabili e rappresentative delle istanze popolari. Il che risponde ad un fine ben preciso: attivare quella che la sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann chiamò la «spirale del silenzio».

 Attenzione, non ci si faccia impressionare dal nome altisonante: il giochino è piuttosto semplice, anche se assai astuto. La teoria della spirale del silenzio afferma infatti che, nella misura in cui un singolo percepisce – anche se lo scenario effettivo è un altro – di avere una opinione diversa o contraria a quella dei più, costui si sentirà disincentivato ad esprimerla apertamente, venendo così ad inverare quanto il politologo Giovanni Sartori ebbe a scrivere in un suo manuale: «Chi non dice quello che pensa, finisce per non pensare quello che non può dire».  

Morale della favola, non è vero che l’89% degli italiani è favorevole all’eutanasia. Ma chi lo ripete in continuazione, impugnando con disinvoltura esiti di rilevazioni demoscopiche che andrebbero invece prese con estrema cautela, lavora affinché così sia.

 

di Giuliano Guzzo

 

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