15/02/2021 di Luca Marcolivio

Intervista esclusiva a Monsignor Suetta: «Come è stato per la schiavitù, anche l’aborto andrà abolito»

Se una legge è ingiusta, va abolita. Il pensiero di monsignor Antonio Suetta è privo di perifrasi, sofismi e tatticismi. Chiaro il riferimento alla legge 194, la quale, secondo l’arcivescovo di Ventimiglia-Sanremo, mostra evidenti segni di fallimento anche nella sua presunta parte “buona” e “preventiva”. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, il presule ha illustrato il suo pensiero in merito, trasmettendo un messaggio di speranza e di incoraggiamento per tutti i pro life, dopo gli episodi intimidatori delle ultime settimane.

 

Eccellenza, lei è favorevole a un’abolizione della legge sull’aborto: è una convinzione che ha sempre avuto o l’ha maturata nel tempo?

«È una convinzione radicata in me fin dai tempi dell’approvazione di quella legge. Nel 1978, frequentavo il seminario minore e, grazie all’impegno del mio vescovo di allora, mi sono trovato a seguire da vicino gli sviluppi di questo dibattito. Negli anni, poi, ho potuto approfondire questo tema, alla luce dei miei studi teologici, rafforzandomi nella mia convinzione, nello svolgimento del mio ministero pastorale, in particolare nel sacramento della penitenza».

Quali sono, a suo avviso, gli argomenti a favore dell’abrogazione della legge 194?

«Innanzitutto, perché è una legge ingiusta e, come tutte le leggi ingiuste, andrebbe abrogata. Utopistico? No, credo semplicemente ci sia un grosso lavoro da fare ma mi sembra che, in un’ottica cristiana, rientri nella logica della fondata speranza che il bene vince sempre. Penso ad altre leggi ingiuste del passato, come quelle sulla schiavitù, superate anche con l’apporto decisivo dei principi cristiani. Serve quindi un cambio di mentalità. Ci sono poi dati oggettivi a sostegno di questa posizione. L’altissimo numero di bambini cui viene impedito di nascere, ad esempio, concorre a quello che chiamiamo inverno demografico. Come accade spesso nel cammino della Storia, alla fine il male è destinato a implodere, perché quando ha finito di distruggere se stesso, non ha più nessuna consistenza».

In base a ciò che ha detto, ritiene i tempi siano maturi per il superamento della nostra legge sull’aborto?

«Per certi aspetti, ritengo sia maturi e mi riferisco soprattutto ai numeri dell’aborto, alle devastazioni che produce, al sostanziale fallimento delle presunte finalità “buone” che la legge 194 dovrebbe avere. Secondo i suoi sostenitori, la legge 194 avrebbe dovuto svolgere un’azione di prevenzione dell’aborto, di accoglienza alle donne e di sostegno alla maternità. Mi pare, però, i numeri contraddicano queste affermazioni».

Quali possono essere a suo avviso, gli strumenti per portare avanti questa battaglia, sia nella Chiesa che nella società civile?

«Il lavoro che dovremmo fare noi, pastori e cattolici consapevoli e convinti del magistero della Chiesa, è quello di non desistere nel formare le coscienze, affinché si possa indurre chi ha responsabilità politiche ad aprire finalmente un dibattito. Occorrerebbe, poi, che gli insegnanti di religione, ma anche di altre discipline, siano formati in modo da saper affrontare adeguatamente questi temi. È importante che questi insegnanti interagiscano con i vari corsi di educazione sessuale, di solito sono strumenti in mano a propagandisti ideologici. Questo non è un discorso confessionale ma antropologico. Anche la famiglia dovrebbe sentire di più questa responsabilità educativa, per evitare di lasciare i figli in balìa dei social, che spesso diventano strumenti di queste “contro-scuole”».

Parecchi episodi nelle ultime settimane confermano che i pro life sono sempre più sotto attacco. La Chiesa predica sempre il perdono per i persecutori. Fermo restando questo principio, nella pratica, che approccio bisognerebbe avere con chi disprezza, in modo anche violento, i difensori della vita?

«Mi sembra che oggi questa aggressività si manifesti soprattutto con la congiura del silenzio. Di certi temi non vogliono se ne parli. Quanto al perdono, parliamo di un comandamento evangelico che riguarda i rapporti interpersonali. Il perdono impone che non si scada nello stesso stile di aggressione e di violenza. Uno stile che, mi pare non ci appartenga, anche se, ogni tanto, qualcuno ci accusa di questo. Perdonare, comunque, non accantona il discorso della giustizia. Quindi, in merito agli episodi di violenza ed aggressione verbale nei confronti dei pro life, credo sia giusto alzare la voce. Sarebbe anche un segno di incoraggiamento nei confronti di coloro che difendono la vita, i quali sono molto più numerosi di quanto si crede. Hanno bisogno di essere incoraggiati, perché è in atto una vera e propria emarginazione sociale e culturale che coinvolge sia le persone, sia le tematiche. In questo senso, il lavoro che fa Pro Vita & Famiglia è quanto mai opportuno».

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