12/02/2021 di Luca Scalise

Il Portogallo darà la morte a chi soffre?

Ecco i tre slogan della neolingua: «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza», scriveva George Orwell in “1984”. E oggi dovremmo aggiungere: «l’eutanasia è salute». Leggiamo, infatti, che in Portogallo, se verrà depenalizzata l’eutanasia, i maggiorenni che rientreranno nelle condizioni per farne richiesta la potranno ricevere «con la pratica o l’aiuto di professionisti della salute». Salute? Stiamo scherzando? Per alcune persone l’eutanasia sarebbe “salute”? E la morte indotta, di preciso, cosa curerebbe?

«Sì del Portogallo all’eutanasia. Il Parlamento ha approvato il disegno di legge che rende legale la morte medicalmente assistita per persone che si trovano in situazioni di “sofferenza o gravità estrema”, con “lesione definitiva” o in caso di “malattia incurabile o fatale”», scrive Il Fatto Quotidiano.

Le condizioni per richiederla sarebbero, oltre alla maggiore età, situazioni di «sofferenza o gravità estrema o con lesione definitiva», «malattia incurabile o fatale» e l’espressione di una volontà «attuale o ribadita, reale, libera e chiara». Ma siamo sicuri che una persona che chiede la morte assistita la voglia davvero? Pensiamo ai tanti la cui condizione di sofferenza è aggravata da un difficile accesso alle cure o dalla solitudine. A tanti che vengono fatti sentire nient’altro che pesi inutili, la cui morte sarebbe solo il “miglior interesse”. Sono davvero liberi di scegliere la morte o forse vengono spinti a questa tragica opzione?

«E’ necessario sostenere, accompagnare, prendersi cura delle persone malate, vulnerabili e fragili. Quello che invece l’Assemblea parlamentare ha offerto come via d’uscita alla persona che soffre è la morte su richiesta», denunciano gli esponenti di “Religioni e Salute” (GTIR), un «organismo interreligioso formato dai rappresentati cattolici, induisti, islamici, ebrei, buddisti, dell'Alleanza evangelica, della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, e dell’Unione degli Avventisti del Settimo Giorno», leggiamo su Vatican News.

L’«accompagnamento compassionevole» è l’unica risposta umana al grido di chi soffre: cure e vicinanza, non abbandono e morte.

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