19/11/2020 di Luca Scalise

Il parere dei tecnici: donne sempre più a rischio con l’aborto “fai da te”

In piena emergenza Covid, si è ritenuto di dover ampliare la possibilità legale per le donne di assumere la pillola Ru486, per l’aborto farmacologico, fino alla nona settimana di gravidanza e persino in day hospital. Così commentavano la notizia di queste nuove linee guida del Ministero della salute Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vicepresidente della nostra associazione Pro Vita e Famiglia Onlus: «Con un colpo di mano si legalizza di fatto l'aborto a domicilio, fregandosene della salute delle donne. La RU846, infatti, veniva data in regime di day hospital non a caso, ma perché un farmaco molto pericoloso che ha causato anche delle morti nel mondo».

Eh, sì. Purtroppo, l’equazione tanto amata e propinata dalla sinistra, “aborto legale = aborto sicuro”, non sembra affatto corrispondere alla realtà. E ciò vale sia per l’aborto chirurgico che per quello farmacologico. A dirlo non è qualche ultracattolico (aggettivo molto utilizzato, ultimamente, per deridere – e, quindi, discriminare – i cattolici fedeli al loro credo dai cosiddetti paladini della “lotta alle discriminazioni”) o qualche attivista pro life, o qualche “pericolosissimo” retrogrado amante del medioevo, ma «i tecnici della Regione Piemonte, cioè professionisti della sanità che non hanno colore politico», leggiamo su La Verità.

A detta loro, strutture come i consultori non sarebbero adatte alla somministrazione della pillola abortiva, sia per motivi legati alla mancanza di un «collegamento funzionale tra i servizi territoriali e gli ospedali di riferimento», sia per l’assenza di strutture dotate di «strumentazione idonea e che possano contare su personale specializzato e perfettamente formato».

Ma vi sono anche altre ragioni. L’Aifa continuerebbe a considerare il mifepristone un medicinale «utilizzabile esclusivamente in ambiente ospedaliero». Inoltre, gli esperti avrebbero precisato che «quando si vuole procedere all’aborto farmacologico all’incirca tra la settima e la nona settimana, oltre alla pillola abortiva (mifepristone) bisogna prevedere un altro farmaco che in Italia è fuori commercio».

Insomma, fra i vari problemi tecnici, quello che più di tutti deve farci interrogare è la necessità di un collegamento con l’ospedale di riferimento in caso di complicazioni. Pochi sanno che «la FDA (ente governativo Usa) riferisce che dal 2000 al 2018 almeno 24 donne sono morte, 97 hanno avuto gravidanze ectopiche, 1.042 sono state ricoverate, 599 hanno avuto trasfusioni di sangue e 412 infezioni (di cui 69 gravi), per un totale di 4.195 eventi avversi segnalati. Poi c’è un numero imprecisato e imprecisabile di quelli segnalati sotto altra voce (per es. come aborto spontaneo) e quelli non segnalati affatto» - spiegava un altro nostro articolo.

Dunque, tali possibili e gravi rischi non sono affatto da sottovalutare e chi tiene veramente alla salute delle donne farebbe bene a diffondere tali informazioni, piuttosto che nasconderle, come spesso fanno i promotori dell’aborto.

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