24/03/2020

Il dietrofront di Cirinnà e le priorità delle Sardine ai tempi del Coronavirus

L’avevamo lasciata al corteo femminista in piazza Vittorio a Roma, la senatrice Monica Cirinnà, mentre sfilava con quel cartello in mano con la scritta “Dio, patria e famiglia, che vita di m…”. Una foto che aveva fatto il giro del web, commuovendo i collettivi femministi e suscitando indignazione in tutta quella fetta dell’opinione pubblica che, invece, in quei valori si rispecchia.

Tuttavia, avendo presto compreso, dal vespaio di polemiche sollevato, di aver fatto un gran bel buco nell’acqua, la senatrice si era affrettata a specificare di aver voluto candidamente riprendere e rispondere ad un celebre motto fascista per “denunciare la strumentalizzazione di quei tre concetti da parte di chi vuole riportarci al Medioevo”.

Ma è bastato un fatto serio, anzi drammatico, ovvero il flagello dell’attuale pandemia, a riportare la Cirinnà con i piedi per terra. E sì perché ultimamente la senatrice ha postato su facebook una foto con un invito a restare a casa: “#iorestoacasa. Per amore del Paese, della famiglia, di mio padre novantenne”.

Evidentemente anche se sei il simbolo dell’ideologia più “politically correct” esistente sulla faccia della terra, quando certe catastrofi ti toccano da vicino, negli affetti più cari, che proprio la tua battaglia politica relativizza, al punto da aver proposto di ridefinire la famiglia come “rete formale e informale della persona”, magicamente, il genitore1 e il genitore2 tornano ad essere papà e mamma, nello specifico “mio padre novantenne”.

E non c’è da meravigliarsi ma solo da prenderne atto: qualunque ideologia politica che mira a stravolgere la realtà a suo piacimento per adeguarsi a diktat che vanno contro il naturale stato delle cose, contro l’evidenza più spicciola, in questo caso, dei ruoli oggettivi e degli affetti familiari che, per quanto si tenti di relativizzare e di reinterpretare in una chiave postomodernista, rimangono sacri e inviolabili come all’origine, qualunque ideologia di questa tipo, mostra il suo volto più ridicolo e fasullo, nel momento del suo inesorabile impatto (anzi, in questo caso, “schianto”) col reale.

Una situazione non molto diversa da quella che ha protagoniste le sardine che, da bravi “pescetti dem”, in questi giorni hanno l’indecenza di rammaricarsi per la mancata celebrazione della “Giornata contro il virus del razzismo” che avrebbe dovuto tenersi, insieme a tutte le altre sardine “interplanetarie”, il 21 marzo.

Incredibile a dirsi, a fronte dell’emergenza pandemia e del tragico bilancio del numero dei decessi in Italia, i pescetti rossi, per tutta risposta, recriminano “contro questi virus striscianti non possiamo affidarci alla Scienza, bensì dobbiamo esserne noi gli anticorpi. In moltissime città europee e del Mondo oggi, 21 marzo, non si potrà scendere in piazza per celebrare la Giornata Internazionale contro il virus del #Razzismo”.

 Un’occasione persa per le sardine per chiudersi in un molto più dignitoso e pudico silenzio, almeno, ci auguriamo, fino alla fine di questa catastrofe sanitaria che, evidentemente richiede, non una classe politica portatrice sana di slogan che promuovono un atteggiamento “anti- qualunque cosa” o “pseudorivoluzionario” e basta, ma che abbia i piedi per terra e che al di là di qualunque sovrastruttura mentale, sappia almeno riconoscere le emergenze reali del Paese.

 

di Manuela Antonacci

 

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