Saranno stati delusi i cultori mortiferi dell’aborto, quando hanno appreso che il Consiglio d’Europa non ha riconosciuto all’aborto il rango di “diritto umano”.
La buona notizia, ben commentata, che si può leggere sul sito della Fondazione Novae Terrae, è che, nella scorsa riunione di luglio, la n. 1175, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha ufficialmente ammesso che è incapace di rispondere alle due domande seguenti, poste da Luca Volonté, del gruppo Popolari – Cristiano Democratici (EPP – CC):
· Il Comitato dei Ministri può confermare che il Consiglio d’Europa non è impegnata in una politica di promozione dell’aborto volontario?
· Il Comitato dei Ministri, essendo composto da rappresentanti degli Stati firmatari della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta sociale europea, può confermare che non c’è mai stata, nell’intenzione degli autori di questi strumenti, la volontà di fondare un diritto all’aborto?
E’ molto raro che il Comitato non riesca a dare una risposta alle domande che gli si pongono. E il fatto dimostra che non vi è alcun consenso sull’aborto in seno al Consiglio d’Europa. Questo dovrà inevitabilmente influenzare le prossime decisioni della Corte europea dei diritti umani (quella di Strasburgo) che normalmente si basa sull’esistenza di un “consenso” per sviluppare e creare nuovi diritti attraverso la sua giurisprudenza.
Volonté nella sua interrogazione scriveva che il Consiglio d’Europa ha spinto per la liberalizzazione dell’aborto in Paesi come l’Irlanda e la Polonia e che molti hanno invocato i trattati europei per promuovere un “diritto umano all’aborto” e limitare il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, mentre invece i trattati non possono essere interpretati come contenenti un autonomo diritto all’aborto.
L’impasse da cui il Comitato dei Ministri non è riuscito a venir fuori, serve alla nostra causa per ribadire che le decisioni della Corte di Strasburgo (i lettori ricorderanno quella controversia sul Crocifisso...) possono essere vincolanti nel caso concreto che la Corte ha esaminato, ma non hanno alcuna forza giuridica nel campo del diritto internazionale, né hanno la forza di obbligare gli Stati sovrani a modificare la loro legislazione nazionale. Per inciso sarà bene ricordare ai lettori che il Consiglio d’Europa non ha niente ha che fare con l’Unione Europea. E’ una sorta di Onu ridotta, costituita nel dopoguerra, a cui oggi aderiscono 47 paesi europei, che anche non fanno parte dell’UE. Proprio come l’ONU è sorta essenzialmente per mantenere la pace e garantire il rispetto dei diritti umani.
C’è però un altra cosa su cui è necessario chiarirsi e riflettere.
I diritti dell’uomo, quelli inviolabili di cui parla l’art. 2 della nostra Costituzione, non sono scritti da nessuna parte e non devono essere scritti da nessuna parte: quindi la Corte di Strasburgo non ha e non può pretendere il potere di declinarli attraverso le sue sentenze. Perché elencandoli si rischia comunque di circoscriverne il numero e soprattutto la portata.
Inoltre sarà bene ribadire a gran voce e con fermezza che i “diritti fondamentali dell’uomo, sia come singolo, che nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità” (art.2 Cost. cit.) non appartengono alla sfera del diritto “positivo”, quello codificato dagli uomini, ma sono diritti “naturali” scritti da Dio nella coscienza umana.
Anzi: già immagino le critiche degli intellettuali laici e atei, perché ho tirato in ballo Dio e la coscienza. Mi correggo e mi esprimerò in termini condivisi da fior di intellettuali e di giuristi, atei e razionali, che però onestamente e ragionevolmente riconoscono l’esistenza del diritto naturale. Sono diritti scritti nella Natura umana. La sostanza comunque non cambia. lo Stato comunque non solo si impegna a garantirli, ma li “riconosce”, come dice la nostra Legge Fondamentale. Cioè ne costata l’esistenza prima e a prescindere dalla legge positiva fatta dal Parlamento umano.
Il primo fra tutti è il diritto alla Vita, e quindi mai l’aborto potrà essere onestamente e razionalemente annoverato tra gli stessi.
di Francesca Romana Poleggi