16/11/2018

Il Big Bang e l’embrione

La teologia classica definisce Dio come sostanza unitaria e semplice, paragonabile, secondo Galilei, al numero uno, da cui tutto si origina e che tutto comprende. Inoltre dalla Bibbia a Dionigi, al Credo apostolico, Dio è definito come Luce, «che manifesta se stessa a se stessa, mentre in se stessa tutte le altre cose sono a lei manifeste». La luce appare a molti teologi come un attributo divino, capace di richiamare analogicamente Dio per la sua incorporeità, per la sua bellezza e capacità di manifestare, per la sua diffusività, per la sua unità e semplicità. Da questa concezione nasce nel Medioevo una estetica della luce che si esprime nella luminosità delle cattedrali gotiche di Francia e d’Inghilterra.

Non è un caso, forse, che in questo stesso periodo un commentatore della Genesi, l’ebreo Namanide (1194-1270), e un vescovo inglese, Roberto Grossatesta (1168-1253), studioso di lenti e di specchi, teorizzino una ipotesi cosmogonica che appare assolutamente simile a quella odierna del Big Bang. Grossatesta nota che la prima parola di Dio nella Bibbia, ben prima che venga creato il sole, è : «Sia fatta la luce». Similmente a Namanide, in base a ragionamenti fisici e metafisici, il vescovo ne deduce che Dio avrebbe creato all’origine una sostanza analogicamente simile a sé per unità e semplicità, un punto infinitesimale di luce-energia capace di espandersi e dare vita all’intero uni-verso. Da una simile teoria i due teologi traggono alcune evidenti conclusioni: il mondo non è eterno, perché è nato; il tempo è relativo, perché ha cominciato a esistere come rapporto tra il moto della luce e lo spazio creato dall’espansione della stessa; lo spazio è relativo: è iniziato in un determinato istante e continua ad ampliarsi per la perdurante espansività dell’universo. Ne consegue che la causa del mondo, Colui che ha posto in essere il punto di luce primordiale, è fuori del tempo e dello spazio, in quanto puro Spirito. Dalla comune origine di tutta la materia universale, dalla stessa esplosione, continua Grossatesta, discende anche una necessaria unità fisica e matematica dell’universo, che lo rende conoscibile secondo le stesse modalità, e che smentisce la divisione tra fisica terrestre (quattro elementi) e fisica celeste (quintessenza) propria del sistema aristotelico-tolemaico.

È Galilei, secoli dopo, a dimostrare col suo canocchiale che i pianeti non sono di quinta essenza, come voleva l’astronomia tradizionale, bensì composti della stessa materia della terra. È sempre lo scienziato toscano, in una lettera a Mons. Pietro Dini, partendo dal “fiat lux” della Genesi, a riproporre l’ipotesi che tutto sia nato dall’esplosione di una particella infinitesimale di luce. Esplosione che di per sé porterebbe al disordine (entropia), se non fosse in qualche modo guidata da una Intelligenza superiore, capace di porre un fine intelligente in una creatura non intelligente.

Solo nel Novecento giungono conferme scientifiche: l’energia è convertibile in materia e viceversa; l’universo è in continua espansione; tempo e spazio sono relativi, hanno iniziato a esistere in un determinato istante atemporale. Anche la frase di Genesi 1.4, «separò la luce dalle tenebre», ha oggi un valore scientifico: per un certo tempo le particelle di luce e quelle di materia continuarono a rimescolarsi, l’energia si convertiva in massa e la massa in energia, fino alla separazione definitiva.

Queste considerazioni sulla conciliabilità tra Fede e scienza (concordanza tra cosmogonia biblica e teoria del Big Bang), sull’infinita semplicità e unità, scelte dal Creatore, uno e semplice, per creare l’immenso uni-verso, paiono le più adatte a confondere la superbia e l’arroganza di quegli scienziati che manipolano la vita fin dal suo sorgere, ritenendosene padroni. Vi è infatti una analogia chiara e meravigliosa tra il puntino di luce, uno e semplice, all’origine del cosmo, e quell’unica cellula, piccolissima, detta embrione, chiamata a “esplodere”, autonomamente, secondo una precisissima “legge intrinseca”, e a dar vita all’uomo spirituale, l’opera più complessa e degna di tutto il creato. L’embrione è infatti, scientificamente parlando, «un attivo orchestratore, che dirige il suo impianto e il suo destino futuro», in un processo coordinato, continuo e graduale (A. Serra, “L’uomo-embrione”, Cantagalli). C’è, in esso come nel punto originario, la traccia, il segno visibile e meraviglioso dell’Intelligenza Somma, unitaria e semplice, che è tale, come affermano Copernico e Galilei, per la capacità di trarre la molteplicità dall’unità, la complessità dalla semplicità, cioè di «non operare coll’intervento di molte cose quel che si può fare col mezzo di poche».

L’universo in un puntino, tutto l’uomo in una cellula: analogie del Creatore, uno e semplice, che “ha fatto grandi cose”, scegliendo quelle piccole ed umili.

Francesco Agnoli

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