17/02/2023 di Fabrizio Cannone

I dettagli della “vergogna Tavistock”, la clinica gender per bambini

La coraggiosa giornalista inglese Suzanne Moore ha appena recensito il libro di Hannah Barnes, intitolato “Time to think. The Inside Story of the Collapse of the Tavistock’s Gender Service for Children” (edito Swift Press) sui danni che il Tavistock Centre, celebre ospedale inglese, ha causato ad una intera generazione di giovani pazienti britannici.

La storia della clinica è stata già raccontata più volte da noi di Pro Vita & Famiglia, ma ora la Barnes offre una ricostruzione generale di come il reparto chiamato “Gender Identity Develoment Service” (GIDS) abbia trasformato in pochi anni, «il principale ambulatorio psicodinamico del paese» in un inferno per giovani con disagi e disforie varie.

Il servizio del GIDS, istituito già nel 1994, solo nel 2009 ha preso importanza e notorietà con l’arrivo di «un nuovo direttore, il dottor Polly Carmichael». E’ stata la direzione del dottor Carmichael che ha portato alla chiusura definitiva della clinica nel 2022, a seguito di varie denunce e del rapporto della dottoressa Hilary Cass.

Uno dei dettagli più scioccanti che trapela dalle pagine della Barnes, che si è informata con «oltre 60 clinici: psicologi, psicoterapeuti, infermieri», è il fatto che moltissimi impiegati del Centro sapevano delle metodologie scorrette in uso, ma «non hanno fatto nulla».

Il problema qui è essenzialmente ideologico. Ovvero: qualunque ospedale può avere – purtroppo capita - un reparto che funzioni male per varie ragioni. Ma quando si tratta di delicate operazioni di «riassegnazione di genere», di «bloccanti della pubertà» o di «mutilazione di seni e testicoli», nessuno può interferire e dire nulla, altrimenti scatta l’accusa imparabile di omofobia, transfobia e odio.

Ed è proprio questo ricatto morale, fa capire la Barnes, che ha permesso i tanti abusi che hanno caratterizzato gli ultimi anni di vita del Tavistock e la sua chiusura. I pazienti del GIDS erano «tutti giovani in difficoltà, spesso con problemi complessi: autismo, disturbi alimentari, autolesionismo, depressione». La cura proposta era sempre la stessa: il cosiddetto “modello affermativo”, cioè insinuare ai giovani e alle famiglie che la soluzione dei problemi psicologici poteva essere collegata all’identità di genere, da reindirizzare in chiave transgender.

Eppure, come nota la Moore che ha recensito il libro, nei pazienti «non c’è stata alcuna riduzione della depressione», mentre i farmaci usati per bloccare la pubertà hanno avuto non poche controindicazioni, più o meno gravi. A volte, gli ormoni bloccanti venivano dati a «bambini di appena 10 anni». Dal 2007 al 2020 i bambini presi in conto dal GIDS, per ipotetiche “disforie di genere”, si erano moltiplicati di 100 volte, passando da 50 a 5000 e l’intera questione medica, inoltre, era in qualche modo fuorviata da una visione «altamente politicizzata».

Il clima all’interno della struttura – soprattutto negli ultimi anni - era diventato sempre più infuocato mentre nella società inglese si ramificava il totalitarismo gender. E così «alcuni membri del personale si sono sentiti sotto sorveglianza», incapaci di denunciare i palesi abusi della clinica. Dire che il sesso biologico è immutabile, invece che una verità scientifica universalmente nota, era divenuto «chiaramente eretico».

Per fortuna alcuni coraggiosi - tra cui dei giovani indotti al cambiamento di genere, in seguito pentiti - hanno avuto il coraggio di parlare, come Keira Bell, la giovane pentita dopo aver fatto ricorso – e aver subito - una doppia mastectomia.

Il libro della Barnes, in definitiva mostra, l’abisso che separa la nobile scienza della medicina (comunque non infallibile) e l’ideologia anti-scientifica del gender: dove entra la seconda, a poco a poco viene esclusa la prima.

 

 

 

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