10/01/2023

Giovani prolife, giovani speranze

Esiste oggi una generazione di giovani schierati apertamente a difesa della famiglia, della vita, dei principi non negoziabili? Siamo sicuri di sì. E non solo in America. A riprova abbiamo chiesto a questi giovani uomini e donne di offrirci la loro testimonianza. 




Un sacerdote

«Mi chiamo don Ambrogio Mazzai, ho 30 anni e da cinque sono sacerdote nella diocesi di Verona. Mi occupo di pastorale dello sport, studio scienza delle comunicazioni, e collaboro in una parrocchia di periferia della città.

Mi sono trovato e mi trovo spesso a dovermi confrontare con l’ideologia dello scarto, con la mentalità abortista ed eutanasista che sembrano dominanti. Soprattutto frequentando i social ci si rende conto delle convinzioni radicate nella gente: il bambino nel grembo “non è vita” è solo “un grumo di cellule”. Le persone anziane o malate o disabili “soffrono e basta” e “sono un peso per la società” (a dire il vero questo non hanno il coraggio di dirlo apertamente ed esplicitamente, ma è l’evidente sottotesto di certe posizioni pro eutanasia o suicidio assistito).

Assumere posizioni pro vita vuol dire sempre tirarsi addosso critiche anche feroci e anche da tanti sedicenti cristiani. Questi spesso cercano di tirare in ballo Papa Francesco mettendogli in bocca cose che non ha mai detto. Dichiararsi apertamente pro vita implica il doversi sentire rifiutati: medievale, bigotto, stupido, ignorante… Gli abortisti si sentono intelligenti e acculturati (quando non è vero: procedono per slogan e non per fatti).

Insomma, essere pro vita vuol dire essere ghettizzati e disprezzati. Ma non è un problema: non aspettare il plauso degli uomini, non devo rendere conto che a Dio!

Dico, perciò, ai giovani di non temere di seguire una strada così difficile. Vorrei metterli in guardia: le soluzioni più semplici sono spesso quelle meno buone. Le cose importanti della vita sono anche impegnative, ci chiedono un impegno totalizzante. Se no, vuol dire che sono cose banali, superficiali. 

E non si possono vivere con superficialità questioni così serie come le questioni di vita o di morte.

Riflettiamo, parliamone, esaminiamo le conseguenze reali e oggettive  di certe azioni: molti sono pro aborto, ma non hanno mai parlato con una madre che ha abortito… Prima di votarsi all’ideologia, cerchiamo di toccare con mano quella che è la realtà»


Una influencer

Mi chiamo Anna Bonetti, ho 24 anni, studio scienze politiche internazionali e diplomatiche.

Il mio ingresso nel mondo pro-life è iniziato circa quattro anni fa, quando mi sono resa conto della falsità di tutte le menzogne sull’aborto che mi avevano sempre raccontato, a partire dalla scuola, spacciandolo per un “diritto” della donna e quando, essendo sorda profonda dalla nascita per via ereditaria, sono venuta a conoscenza della scioccante verità sull’aborto eugenetico anche dei bambini sordi.

Espormi pubblicamente contro l’aborto è stato tutt’altro che semplice, dal momento che anche la mia famiglia è favorevole alla “scelta” e mi ha causato varie difficoltà a livello lavorativo. Inizialmente i miei genitori erano influenzati dalle falsità che spesso i media associano ai movimenti pro-vita, etichettandoli come “fascisti” o “estremisti”. Mentre, la realtà mi ha dimostrato persone meravigliose, accomunate dall’idea di difendere la causa più nobile che esista: la vita umana innocente. 

Oggi, oltre alla mole di insulti quotidiani che ricevo, mi arrivano tanti messaggi di ringraziamento da parte di persone anche non cattoliche, che hanno compreso attraverso di me il valore non negoziabile della vita umana. Di recente sono stata inviata anche sulla piattaforma Twitch di Ivan Grieco a dibattere sul tema dell’aborto e nonostante mi sia trovata sola contro tre avversari e di fronte a migliaia di spettatori, molti mi hanno scritto in privato ringraziandomi per la mia testimonianza. 

In sintesi, se da un lato la difesa della vita comporta difficoltà non indifferenti a livello sociale, dall’altro posso affermare che ne vale la pena: a ottobre sono stata invitata alla marcia per la vita di Vienna e a marzo sarò a Monaco di Baviera. 

Ogni volta che mi guardo indietro, penso che rifarei altre mille volte la stessa scelta. Purtroppo vedo tante persone della mia generazione che si “nascondono” pur di non esporsi pubblicamente timorosi di avere conseguenze negative nell’ambito universitario e lavorativo. Un timore che, ad essere sincera, a volte affligge anche me. Però allo stesso tempo mi sento di rassicurare i miei coetanei, incoraggiandoli a non aver mai paura di essere sé stessi perché tacere è il modo migliore per fare la volontà di chi vuole censurarci. Abbiamo il dovere di combattere le ingiustizie perpetrate da coloro che hanno il terrore della verità. Invece non dobbiamo mai avere paura di dire la verità; se questo da un lato può comportare una perdita, infinitamente più grande è il bene che se ne ricava. Un bene non solo per sé stessi, ma per l’intera società. 


Una studentessa universitaria

«Mi chiamo Elisabetta De Luca, ho 18 anni e studio Lettere moderne.

Non lo negherò, non sempre è facile riuscire senza timore a dire la propria, in un mondo come questo, fatto di becero odio e aggressiva discriminazione, in cui c’è chi vuole imporre le sue personali convinzioni agli altri come indefettibili principi di verità. Non è affatto semplice ritrovarsi a essere in questo secolo così buio, che oserei definire senza fede e senza speranza, recisamente schierati dalla parte degli invisibili, dei più deboli, di chi non ha voce, né corpo, ma solamente un’anima e un cuore che batte. É come se a volte io stessa non riuscissi più a respirare, come se tutto intorno a me si udissero solo vane e ridondanti parole d’odio, slogan scontati di deliberato egoismo, urla isteriche di chi crede che la propria libertà valga più di una vita spezzata sul suo nascere.

Essere pro vita, oggi, si configura come atto di estremo coraggio. Essere sempre, in qualunque situazione umana dalla parte della vita è un atto di audacia, di abbacinante forza, un atto così straordinario da esser divenuto incredibilmente raro, incredibilmente strano.

Essere pro vita è un atto di amore. Una scelta d’amore. Un amore folle, puro, incondizionato. Una scelta che sfida la narrazione mendace e falsata di un progressismo violento e distruttore che livella gli animi e le coscienze in nome di un modernismo gretto, putrido e insignificante, pronto a disintegrare ogni residuo di umanità. Una scelta che atterra la squallida e distorta dialettica del femminismo moderno, colpevole di divulgare un’immagine di donna libera solo se libera dalla famiglia e dall’amore filiale.

Non lo negherò, non sono mai stata in grado di reprimere la mia voce, nemmeno quando tutte le altre viaggiavano in direzione così ostinata e contraria alla mia. Non è sempre stato poi così facile sottrarsi alle ingiurie del resto del mondo, là dove in contesti come quello scolastico o universitario diverbi, dibattiti e critiche sembrano essere all’ordine del giorno. Un contesto in cui il professarsi pro vita appare come una pericolosissima e inaudita inversione di rotta, un profondo turbamento nei confronti della massificazione del pensiero abortista che confonde la delittuosità col progresso, l’egoismo con la libertà.

Una generazione, quella di cui mio malgrado faccio parte, che sembra spesso essere così irrimediabilmente perduta, sventrata, inesorabilmente segnata da una cieca volontà di individuare nell’obiezione di coscienza il peggiore dei mali. Custodisco orgogliosamente ogni offesa, ogni ingiuria, scagliata da tutti coloro che da sempre hanno cercato di farmi sentire sbagliata e diversa. Per ogni giorno in cui ho difeso il diritto alla vita da chi avrebbe voluto calpestarlo, ridurlo a un’indegna e insignificante obsolescenza. A tutti coloro che suggerirebbero l’aborto come unica via d’uscita, che non scorgono altri orizzonti se non quello di un lecito assassinio travestito da progresso. A tutti coloro che non crederebbero mai possibile che io, e tante altre come me, nei miei diciotto anni possa avere la lucida consapevolezza di non abortire, neanche nella peggiore delle ipotesi. A chi vorrebbe donne libere, ma disposte a rinunciare alla parte più bella di se stesse, quella che ti cresce dentro giorno dopo giorno. A chi definisce “grumo di cellule” il meraviglioso e miracoloso sbocciare della vita umana, a chi pensa di definire “errore” il punto più alto della divina Creazione.

A tutti coloro che credono non ci siano altre soluzioni. L’amore è stato più forte e continuerà a esserlo per sempre».


Il presidente di un’associazione

«Mi chiamo Fabio Fuiano, ho 27 anni, sono laureato in Bioingegneria e attualmente svolgo un dottorato in Ingegneria Meccanica e Industriale, con indirizzo biomedicale, nell’Università di Roma Tre. Già dalla fine del liceo avevo iniziato a manifestare un certo interesse per le tematiche inerenti alla difesa della vita umana innocente. Tuttavia, non avevo ancora le idee chiare e ciò mi ha spinto a cercare un gruppo dove fosse possibile coniugare attivismo e formazione. Ed è qui che sono entrati in gioco gli Universitari per la Vita (UpV). Certamente il mio impegno pro-life pubblico ha avuto inizio proprio quando mi sono unito a questa realtà, partecipando ad iniziative di sensibilizzazione dei nostri coetanei negli atenei di Roma. Gli UpV sono stati fondati da Chiara Chiessi nel 2016 e da allora si sono diffusi in diverse città italiane con studenti in gamba e determinati nella difesa della vita senza compromessi, in ogni sua fase. Da un anno a questa parte mi ritrovo molto indegnamente a ricoprire il ruolo di Presidente degli UpV dopo che Chiara ha deciso di seguire la propria vocazione alla vita consacrata. Come dico sempre, lei ha intrapreso una battaglia pro life ad un livello più alto, mentre noi rimaniamo “in trincea”, rinforzati dalle sue preghiere. 

Le ripercussioni di questa esperienza sulla mia vita sono state molteplici. Anzitutto si è accresciuta in me la consapevolezza che la formazione è il fondamento di tutta l’attività pro life: l’ho capito proprio grazie a Chiara, che mi consigliò da subito la lettura del libro scritto da Mario Palmaro, Aborto & 194: Fenomenologia di una legge ingiusta, il principale testo di riferimento per la formazione di tutti gli UpV d’Italia. Da quel “trampolino di lancio” ho cominciato ad approfondire tante tematiche inerenti alla battaglia pro life. Più studiavo e più divenivo consapevole di quali fossero le cause profonde degli attacchi volti a distruggere l’ordine naturale e divino. Allo stesso modo, man mano che andavo avanti nelle mie ricerche, cresceva in me l’amore per la bellezza della vita umana. Da qui nacque l’ardente desiderio di difenderla dagli ingiusti attacchi che quotidianamente subisce, soprattutto ad opera delle leggi inique vigenti nel nostro paese, prima fra tutte la 194. Malgrado le innumerevoli difficoltà, ritengo sia fondamentale ribadire la verità sull’uomo, sulla sua intrinseca dignità e sull’indisponibilità della sua vita.

Quando si combatte per una causa come questa è impossibile non accendere una fiamma nel cuore che alimenta e permea ogni attività, semplice o complessa che sia. Posso senz’altro testimoniare anche come ho avuto occasione di conoscere tantissimi ragazzi e ragazze con i quali è nato un profondo legame di stima e affetto. Siamo combattenti di una grande battaglia, ma ancor prima siamo amici con un medesimo obiettivo: frenare e contrastare la cultura rivoluzionaria, anche abrogando le leggi ingiuste di cui si avvale per operare morte e distruzione. Soprattutto, è possibile ricostruire dalle macerie che essa lascia dietro di sé. Questo è il messaggio che voglio lanciare alla mia generazione: noi possiamo essere voce di chi è senza voce. Possiamo riportare al centro del dibattito sull’aborto la figura dimenticata del concepito! Possiamo testimoniare la bellezza e l’armonia dell’ordine! Se non ci impegneremo noi a farlo, con determinazione e perseveranza, nessuno lo farà al posto nostro!»


Una bioeticista, ricercatrice e docente universitaria

«Uno sguardo sull’uomo attraverso l’uomo, a partire da uno sguardo attento sulla realtà»: il mio rapporto con la bioetica è nato da questo accorgimento interiore maturato durante la fase conclusiva della mia prima formazione universitaria, quella filosofica, dove la conoscenza approfondita della bioetica in tutta la sua complessità pluralista e interdisciplinare, ha da subito sviluppato un modo inedito di leggere la sofferenza altrui al punto da cercare di coniugare formazione e servizio mediante ambienti impegnati attivamente su alcuni dilemmi bioetici. Questo ha trasformato il mio sguardo umano rivolto all’altro, alla sua esistenza e al senso profondo della natura che ci determina in quanto creature. Sono Giulia Bovassi, classe 1991, laureata in Filosofia e Bioetica, dedico la totalità del mio lavoro alla ricerca e alla docenza. Attualmente mi occupo di bioetica in ambito accademico come Associate Researcher e Assistant Professor della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (Roma), come Dottoranda in Bioetica e Cultore della Materia in Filosofia del Diritto e Biogiuridica. 

La scelta di dedicare tutta la mia vita, professionale e personale, alla causa bioetica, anzitutto alla difesa dei principi non negoziabili, è stata un’autentica chiamata dall’impatto totalizzante e trasversale nella mia vita, al punto da stravolgerla sotto ogni aspetto. Per tale ragione sostengo con convinzione che la scelta per la bioetica, con tutti i sacrifici che comporta, non può essere compiuta per se stessi: essa è una vocazione a (ri)conoscere in ogni essere umano quella sacralità oggigiorno dimenticata, offesa, danneggiata da visioni materialiste, utilitariste, relativiste, individualiste, narcisiste e da una banalizzazione di ciò che è bene e ciò che è male (al punto da sovrapporli o confonderli) fortemente correlata ad una diseducazione morale di massa. Proprio in virtù del clima di totale appiattimento (per non dire cancellazione) culturale; di esacerbato indifferentismo etico e, conseguentemente, di de-responsabilizzazione, è estremamente difficile costruire il ragionamento bioetico in senso proprio poiché mancano le basi filosofiche e, assieme, la capacità di dialogo, ascolto, accoglienza, senso critico. Spesso, infatti, accade che i grandi temi da essa affrontati (aborto, manipolazione genetica, fecondazione assistita, eutanasia, sperimentazione, sessualità, neuroetica, etc.) siano oggetto di un palleggio tra attivismo e urgenza politica, oppure appaiano il retaggio di un sentito dire qualunquista privo di indagine, autorevolezza e affidabilità (ancor più nell’epoca attuale, quella dell’infosfera). In un tempo di accelerazione continua e spasmodica, sappiamo bene che metabolizzare il pensiero e la contemplazione verso il mistero creaturale che incarna ogni essere umano è qualcosa che retrocede lentamente. Spesso la bioetica, nella sua sistematicità, metodologia e rigore scientifico, viene definita da autorevoli docenti come “coscienza della civiltà bio-tecnologica” giacché risponde al bisogno umano di significazione: questo suggerisce che essa non è opinione, e nemmeno un pacchetto di regole o slogan. Depotenziarne lo spessore declassandola in questi termini è un sintomo del fenomeno di secolarizzazione, il quale devitalizza gli imperativi morali rendendoli opinioni. 

Contrariamente a quanto abitualmente si sente annunciare a livello mediatico dove vengo decantati alti propositi di inclusione, argomentare in scienza e coscienza per la Vita e la dignità intrinseca dell’essere umano ponendosi in netta contrapposizione ad un agire tecno-scientifico contro l’uomo è motivo di discriminazione, targhetizzazione ed emarginazione sociale di stampo ideologico con ripercussioni anche in ambiente lavorativo, poiché determinate battaglie causano spesso un pregiudizio negativo sulla persona a prescindere da capacità e competenze. La mia famiglia ed io abbiamo vissuto personalmente, e ancora oggi subiamo, l’effetto di marginalizzazione descritto quando facciamo esperienza di come, ciò in cui crediamo e difendiamo, diviene scomodo, compromettente, oggetto di vergogna o di disagio per alcune persone, talvolta estranee altre volte nostri cari. Oggigiorno la vulnerabilità viene considerata un diritto da acquisire (per alcuni addirittura una minaccia) anziché essere carattere costitutivo e fondamentale del consorzio umano, e questa semplice verità crea scandalo. 

Viceversa, ed è quanto ricordo sempre agli studenti di bioetica o a coloro che intendono avvicinarsi alla materia, seppur questo diffuso atteggiamento generi spesso un senso di persecuzione, sconforto e sofferenza, esso non è la principale e autentica risposta che la vocazione bioetica (personalista) genera, anzi: personalmente ritengo che la vera risposta, quando è dato vederla nell’immediato, sia in quell’abbandono dell’anima alla capacità contemplativa verso la creatura umana nella sua intrinseca vulnerabilità, riconoscendo in essa un’identità unica. Ovvero quando, il mistero dell’uomo, del bene, del bello e del vero, fa tornare nella coscienza dei nostri interlocutori un profondo senso di pudore, riguardo e rispetto. Oppure quando credere nel valore ineliminabile dei principi fondamentali e si ha il coraggio di difenderli diviene lo sguardo di una madre che dalla disperazione o dalla solitudine di un bivio tra la vita e la morte del proprio figlio per scelta propria, trova qualcuno che le offre come concreta possibilità l’alternativa della Vita, amando e salvando entrambi ricoprendo il ruolo solidaristico e sussidiario che spetta alla comunità. Quando, invece, non c’è un ritorno istantaneo su coloro con i quali ci rapportiamo, l’esperienza storica insegna che quel seme bioetico avrà il suo tempo per far tornare alla memoria l’istinto naturale al bene, che è sempre conoscibile per chi dispone la propria volontà alla conoscenza. 

La bioetica, dal lavoro accademico alla militanza associazionistica, nasce per porre domande e offrire risposte di tipo esistenziale, ontologico in senso pratico, ma ciascuno dei dilemmi che affronta concorre alla custodia dell’umano perché lo spirito che anima la difesa dei principi non negoziabili è esattamente un’accoglienza indiscriminata della specificità umana. Una missione che oggigiorno deve essere comunicata alle generazioni future mostrando loro la solidità delle ragioni fondamentali che esigono la presenza bioetica nel panorama culturale e biopolitico per nuove e “antiche” sfide che l’uomo è chiamato ad affrontare ogniqualvolta il suo puro “fare” e nudo essere lo pone dinanzi a se stesso. 


Un papà 

«Mi chiamo Luca Benvenuti, ho 33 anni e sono geometra. Sono sposato da quattro anni e ho due bambine.Il contesto in cui mi è più spesso capitato di dover difendere i principi non negoziabili è sul lavoro, con la macchinetta del caffè che è sempre fonte di momenti di scontro/confronto interessanti. 

I temi emersi non sono tanto quello dell'aborto, che forse in un ambiente a totalità maschile com'è quello della mia azienda, rimane un pochino sotto traccia, quanto quello del matrimonio omosessuale e del gender. 

Rispetto al primo, mi sono visto costretto a ribadire l'ovvio: il matrimonio è solo tra uomo e donna, solo questa è l'unione generativa. 

Anche sul gender, che è una tematica che tocca in particolare diversi colleghi papà come me, il mio contributo è stato un sempre meno banale richiamo alla realtà: il sesso biologico non si cambia a piacimento, ognuno di noi è maschio o femmina. 

Di certo, il fatto di pormi su queste posizioni mi pone in una perenne condizione di minoranza, ma quanto ci tengo a dire a tutti quelli della mia generazione è di non lasciarsi abbindolare da ideologie peregrine, che vanno contro l'uomo e non portano alla felicità».


Contributo già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 104 del febbraio 2022

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.