23/12/2022 di Giuliano Guzzo

“Genitore 1” e “Genitore 2”. Che sta succedendo?

In Attraverso lo specchio, il seguito che Lewis Carroll (1832-1898) diede al suo celebre Alice nel Paese delle meraviglie, c’è un dialogo decisamente significativo tra la protagonista, Alice, e il personaggio di Humpty Dumpty, che vede quest’ultimo affermare: «Quando io uso una parola, essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno». Alice risponde: «Si tratta di sapere se voi potete dare alle parole tanti diversi significati». «Si tratta di sapere», ribatte subito Humpty Dumpty, «chi ha da essere il padrone. Questo è tutto».

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Ora, anche se forse tanti non ci hanno fatto finora sufficientemente caso, questa citazione letteraria torna particolarmente utile per capire un’insidia che c’entra poco con la fantasia e con i libri e, invece, molto con la realtà: quella legata all’uso delle espressioni di “genitore 1” e “genitore 2” in luogo dei termini di padre e madre. Sì, perché ben lungi dall’essere una mera sostituzione di parole, tutto ciò rappresenta quello che Humpty Dumpty ha provato a dire ad Alice, vale a dire che il padrone è chi controlla il significato delle parole.

Non solo: padrone dei padroni – si potrebbe aggiungere – è chi addirittura sceglie le parole e ne individua alcune con le quali sostituire altre. Che è precisamente quanto accade con genitore 1 e genitore 2, parole dalla natura apparentemente burocratica che però stanno sempre più dilagando, al posto, come poc’anzi si diceva, di padre e madre. Lo si è visto con la decisione dello scorso novembre (clicca QUI per leggere la notizia) del Tribunale civile di Roma, XVIII sezione, che - accogliendo il ricorso di «due madri» che chiedevano la possibilità d’esser identificate come genitori sulla carta d’identità elettronica valida per l’espatrio della figlia – ha stabilito che il termine «genitore» debba, appunto, essere sostituto alla dicitura «madre» e «padre» nel caso in cui ci siano «due madri» di una bambina.

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Prima ancora, nel gennaio 2021 (clicca QUI per leggere la notizia), era invece stata una decisione dell’allora ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, a decretare che sulla carta di identità per i minori di 14 anni o sui moduli di iscrizione a scuola dei bambini dovessero esser cancellati i nomi «madre» e «padre» in favore degli anonimi «genitore 1» e «genitore 2». Come se non bastasse, le cronache più recenti hanno registrato – come i lettori di queste colonne di certo ricorderanno, essendo la notizia ancora fresca – perfino l’adesione di associazioni di ispirazione cattolica, per esempio l’Agesci, all’impiego delle espressioni «genitore 1» e «genitore 2».

Ebbene, tutto questo è anzitutto grave per quello che si diceva all’inizio, essendo un chiaro esercizio di imperio se non di tirannia – dato che le parole «madre» e «padre» non hanno mai fatto del male a nessuno; ma soprattutto, e qui sta il vero nocciolo della questione, perché la rimozione delle parole che designano le figure genitoriali senza le quali non c’è famiglia, altro non è che un tentativo da un lato di decostruire la “cellula fondamentale della società” e, dall’altro, di veicolare l’ideologia gender, che in definitiva predica l’assenza di limiti assoluti, nella scelta dell’identità sessuale come in quella della definizione di cosa siano il matrimonio e, va da sé, la famiglia stessa.

In altre parole, pur presentandosi come un mero dettaglio burocratico, il diffondersi delle espressioni di genitore 1 e genitore 2 è anzitutto il diffondersi di una precisa visione antropologica: quella edonistica e materialista che, lo si ricordava poc’anzi, riconosce come ultimo e unico metro di giudizio solo, l’«io e le sue voglie», per dirla con una espressione usata nel 2005 dal futuro papa Benedetto XVI. Il punto è che in questo modo non si fa tanto torto – come spesso si pensa – ai pro family o ai conservatori, no: si mettono a repentaglio, già nel medio e breve termine, il benessere dei figli, il loro sacrosanto diritto ad avere un padre ed una madre, nonché l’integrità stessa del tessuto sociale e la possibilità, per una comunità, di avere un futuro. Si tratta forse di un rischio che possiamo permetterci di affrontare?

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