23/12/2016

Gender in Trentino. La lotta continua, anche alla primaria

Il Trentino è noto per le sue proposte d’avanguardia (!) in tema di lotta all’omofobia e d’introduzione del gender nelle scuole, ma anche per quanto riguarda l’utero in affitto.

Tutti segnali che dovrebbero portare a riflettere rispetto al buon uso dell’Autonomia.

Proprio in tema di gender abbiamo ricevuto un lungo e interessante scritto di un affezionato Lettore, che espone quale sia attualmente la situazione con cui i genitori si trovano a dover fare i conti. Lo pubblichiamo integralmente.

Educare alla relazione di genere 2016/2017

Scelte condivise?

In Trentino, oramai, da diversi anni nelle scuole vengono proposti percorsi intitolati ‘”Educare alla relazione di genere”. I soggetti coinvolti sono la Provincia Autonoma di Trento, l’Istituto Provinciale per la Ricerca e la Sperimentazione Educativa (IPRASE) e il Centro Interdisciplinare Studi di Genere (CSG) dell’Università di Trento, con un costo complessivo annuo che si aggira attorno ai 60.000 €.

In questo articolo proverò a dimostrare come gli obiettivi di questi percorsi si basino sulle stesse logiche cha stanno alla base di quella che viene definita “ideologia gender” (anche se tutti sappiamo che non esiste, ovviamente!).

Secondo la prospettiva di genere la differenza tra uomini e donne è unicamente di tipo anatomico. Il resto è frutto della cultura. In tal senso, il collegamento tra ciò che sono fisicamente e la modalità con cui mi manifesto non esiste, in quanto la mia auto-percezione è puro costrutto culturale. Il modo con cui propongo il mio essere maschile\femminile è semplicemente legato alla cultura in cui vivo, la quale sceglie per il soggetto il ‘vestito’ appropriato.

La ragione per cui viene definita ideologia nasce dal fatto che non vi è alcuna evidenza scientifica che dimostri che tutto è frutto di convenzioni culturali. Anzi, al contrario, molte ricerche confermano che i comportamenti dei due sessi sono profondamente ed inscindibilmente legati al sesso cromosomico (si veda, ad esempio, il libro “Educare al maschile e al femminile”).

Secondo la visione di genere, la cultura stereotipata, binaria (=maschile e femminile) ed etero-normativa in cui viviamo è fonte di trattamenti diversi e di discriminazioni ingiuste, che limitano la libertà dell’individuo e lo obbligano a vestire secondo rigidi cliché.

I percorsi nelle scuole trentine ragionano allo stesso modo. Non lo dico io, ma lo dice il CSG, che rappresenta il referente “scientifico” del progetto Educare alla relazione di genere e che manderà i suoi esperti nelle scuole che hanno aderito alla proposta.

Il Centro Interdisciplinare Studi di Genere: il riferimento scientifico

A questo punto è utile aprire una breve – ma importante – parentesi in merito alle professionalità presenti nel CSG, ossia quella realtà che viene definita dalla PAT il «riferimento scientifico dei percorsi». Personalmente, visto che l’argomento “lotta agli stereotipi” tocca questioni che hanno a che vedere con la delicata questione della costruzione di sé (che passa attraverso anche lo stereotipo), mi aspetterei che tra i membri del CSG ci fossero psicologi, medici, neurobiologi invece, tra tutti i 15 componenti, queste figure non esistono. In sostanza, come si può ben vedere dalla lista che segue, il comitato ‘scientifico’ è composto da 3 Sociologici, 3 Giuristi, 3 Linguisti, 3 laureati in Scienze politiche ed 1 in Filosofia. Non è dato sapere i titoli di coloro che fanno parte della segreteria generale UIL e provinciale CGL.

 

Ecco la lista dei componenti del CSG:

§  Barbara Poggio, professoressa associata, sociologa (curriculum)

§  Luisa Antoniolli, professoressa ordinaria, giurista (curriculum)

§  Elisa Bellè, assegnista di ricerca, dott. in Sociologia e Ricerca Sociale (curriculum)

§  Silvia Bertola, segreteria generale UIL

§  Valentina Chizzola, Fondazione Bruno Kessler, dott. In filosofia (curriculum)

§  Maria Micaela Coppola, professore aggregato, laurea in letteratura inglese (curriculum)

§  Giovanna Covi, professore aggregato, Laurea in Letteratura Angloamericana (curriculum)

§  Francesca Di Blasio, professoressa associata, laurea in letteratura inglese (curriculum)

§  Alessia Donà, professoressa associata, laurea in Scienze Politiche (curriculum)

§  Mariangela Franch, professoressa ordinaria, Laurea in Scienze Politiche (curriculum)

§  Claudia Loro, segreteria provinciale CGIL

§  Stefania Scarponi, professoressa ordinaria, laurea in giurisprudenza (curriculum)

§  Giulia Selmi, dottoressa di ricerca, dottorato di Ricerca in Sociologia e Ricerca Sociale (curriculum)

§  Paola Villa, professoressa ordinaria, laurea in Scienze Politiche (curriculum)

§  Alexander Schuster, assegnista di ricerca, laurea in giurisprudenza (curriculum)

Si evince dunque che coloro che fanno parte del settore ‘scientifico’, non hanno alcun tipo di competenza nell’importante ambito della psicologia o delle neuroscienze. Nonostante questo profondo limite, il CSG propone percorsi destinati al contrasto degli stereotipi, senza disporre di competenze, a mio modo di vedere, necessarie.

In diversi incontri, gli esperti del CSG hanno condiviso la loro interpretazione del maschile e del femminile e di come è possibile cambiare questa millenaria impostazione discriminante.

Ecco in sintesi gli assunti di base del CSG (tratto dalla presentazione Stereotipi di genere e letteratura per l’infanzia):

«L’identità di genere è un processo ‘appreso’ non naturale. Sin dalla prima infanzia bambini e bambine imparano a distinguere ed introiettare ciò che è considerato socialmente adeguato per il maschile ed il femminileQueste convenzioni culturali non definiscono solo una differenza, ma anche una disuguaglianza che si produce dall’organizzazione gerarchica di queste differenze e concorrono al mantenimento del sistema sociale che li ha generati».

Il ‘vestito’ di genere, secondo costoro, essendo unicamente frutto della cultura, è «un fare sociale, che è possibile anche disfare. La pratica educativa è uno strumento prezioso per “disfare l’ordine di genere”». Questo cambiamento passa attraverso un’educazione «a trasgredire le norme dell’ordine di genere e a superare il confine simbolico che separa dicotomicamente il maschile dal femminile per offrire strade plurali alla ricerca di sé».

Ai ragazzi nelle scuole trentine, da quelle di primo a quelle di secondo grado, verrà detto esattamente questo: dobbiamo liberarci degli stereotipi se vogliamo essere persone libere. Ognuno, maschio o femmina che sia, deve avere la libertà di decidere quale ‘vestito’ mettere per manifestare il proprio essere sessuato. E nessuno dovrà permettersi di avanzare giudizi, visto che non esiste di per sé nulla che sia squisitamente maschile o femminile (dato che è unicamente frutto della cultura).

Questa prospettiva – a mio modo di vedere “delirante” – entra attualmente nelle scuole in modi diversi: nelle scuole primarie in modo indiretto, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado in modo diretto.

E, anche questa volta, non sono io a dirlo, ma i percorsi “gender” proposti per l’attuale anno scolastico.

Per chi non lo sapesse, i percorsi proposti sono 5:

  1. Percorso 1 – Stereotipi di genere: percorsi formativi per docenti di scuola primaria
  2. Percorso 2 – Stereotipi di genere: percorsi formativi per docenti di scuola secondaria
  3. Percorso 3 – Identità, differenze e stereotipi: laboratori di educazione al genere per studenti e studentesse delle secondarie
  4. Percorso 4 – Per una cittadinanza condivisa: relazione e differenze (per insegnanti e studenti della scuola secondaria)
  5. Percorso 5 – Incontri scuola famiglia: differenze e stereotipi di genere (per genitori della scuola secondaria secondo di primo e secondo grado)

Evidenzio che a tali percorsi si accede tramite iscrizione da parte delle Istituzioni scolastiche (quest’anno sono 22). Sottolineo che questi percorsi vengono presentati prima ai genitori e viene dato loro un feedback dei risultati a fine percorso. Da segnalare però una cosa che non deve passare inosservata: l’informazione ai genitori viene data solo se sono coinvolti direttamente i loro figli. Se questa educazione riguarda gli insegnanti, questo non è necessario.

Inoltre l’educazione per il contrasto agli stereotipi viene fatta direttamente agli alunni solo nella secondaria di secondo grado (dove è richiesto che i genitori siano informati). In quella di primo grado – ossia in un’età delicata dove i bambini sono come delle ‘spugne’ – viene fatto in modo indiretto, ossia formando insegnanti dell’Istituto scolastico, dando loro gli strumenti per progettare ed implementare delle attività da svolgere in aula con bambini e bambine (come si può evincere dalla presentazione del percorso nr. 1, nella sezione “contenuti”).

Significa che i docenti dell’Istituto Scolastico che hanno aderito al percorso 1, hanno la possibilità di creare e proporre autonomamente nelle proprie classi i contenuti del corso. Ovviamente, visto che i figli non vengono coinvolti direttamente (dal progetto CSG) e vige la libertà di insegnamento, non è necessario che i genitori siano informati. Nel frattempo le giovani generazioni, ad insaputa dei genitori, ricevono un’educazione ben specifica su un argomento quantomeno delicato e sul quale dovrebbero essere coinvolti.

Ma perché questo trattamento speciale nella scuola primaria? Perché l’età infantile è eccezionale: i bambini, non essendo dotati di capacità astratta e spirito critico, assorbono come spugne quello che vien detto loro dal mondo degli adulti, specialmente quelli significativi (genitori ed insegnanti). È l’età perfetta per creare le basi su cui poi si innesterà il pensiero astratto e l’architettura valoriale.

Perché i genitori non vengono coinvolti? Perché quando si toccano i figli, specialmente in età precoce, potrebbero presentarsi reazioni scomposte, che potrebbero mettere in cattiva luce i contenuti dei percorsi e, quindi, inguaiare la Provincia ed il CSG.

Qual è il modo principalmente usato nella scuola primaria per decostruire gli stereotipi e contrastare le discriminazioni? Attraverso un canale ben conosciuto dal CSG: lo story telling.

Ecco cosa dice il CSG in merito a questa pratica nell’incontro intitolato Fiabe di un certo genere: «La narrazione è uno dei principali strumenti di socializzazione e di apprendimento (attraverso le storie acquisiamo le regole della nostra cultura). Ogni cultura rende disponibile un particolare “kit” di modelli narrativi (personaggi, trame...). Lo story telling è una pratica di controllo sociale. Le narrazioni possono legittimare il potere e le relazioni gerarchiche. Agiscono come forme di disciplinamento e controllo indiretto e creano una cultura di obbedienza. Le narrazioni possono produrre cambiamento. Narrare implica la capacità di immaginare alternative e produrre nuove visioni (pensiero al congiuntivo, stimolo a produrre visioni alternative). Le narrazioni come strumenti autopoietici di trasformazione».

Insomma, il CSG sa perfettamente che la lettura di storie e narrazioni non è un semplice svago, ma uno strumento centrale per produrre un cambiamento culturale pro gender.

Come si produce questo cambiamento? Illuminante il contenuto della presentazione Genere, stereotipi e processi educativi fatta da un membro del CSG nel marzo 2014: «La pratica educativa è uno strumento prezioso per “disfare l’ordine di genere” e riscrivere la femminilità e mascolinità dominanti».

Per disfare l’ordine di genere è necessario «Educare a trasgredire le norme dell’educazione di genere e a superare il confine simbolico che separa dicotomicamente il maschile dal femminile per offrire strade plurali alla ricerca di sé».

Insomma, per creare un mondo senza discriminazioni è necessario spazzare via gli antichi stereotipi e crescere uomini che superino i confini del maschile e femminile tradizionali. Per questo le narrazioni proposte dal CSG, sono volte a inter-scambiare i ruoli maschili e femminili o a rovesciare le fiabe tradizionali.

Quali sono queste storie? In un recente passato ho partecipato ad un ciclo di incontri dedicati a questo argomento, intitolato Storie di un certo genere tenuto proprio da un membro del CSG. A questo link potete leggervi una recensione degli incontri. Nella parte iniziale della la relatrice ha evidenziato l’importanza dello story telling come veicolo fondamentale per modificare la cultura fin dall’infanzia in ottica gender. Quest’epoca della vita rappresenta il momento ideale per produrre un cambiamento. Il bambino assorbe in modo acritico e naturale ciò che gli viene letto, senza porsi domande sui significati o la portata di ciò che sente. Da qui poi, più avanti in età, inizia a costruire una struttura personale e valoriale ben precisa. In questa fase non è indifferente ciò con cui viene a contatto.

Nel secondo incontro sono state messe sotto processo le fiabe tradizionali (Cappuccetto rosso, Biancaneve e i Sette nani, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco), in quanto veicoli che trasmettono stereotipi maschili e femminili di un ben preciso tipo [donna cattiva (es. matrigna) o sottomessa (es. Biancaneve, Cenerentola), mentre l’uomo ricopre sempre un ruolo positivo (es. il principe)].

Durante l’ultimo incontro sono state invece presentate storie alternative, in pieno “gender style“: Rosaconfetto, Ma Zaff tu sei maschio, il bell’anatroccolo (ed. Lo Stampatello), L’uomo straordinariamente forte, La principessa e il drago, (EDT, collana Giralangolo – Sottosopra), I tre porcellini (edizioni Topi pittori), etc… Invito il Lettore a entrare nei siti delle case editrici che hanno prodotto questi libri: Sette Nove, Lo Stampatello, EDT, Collana Giralangolo. Scoprirete rapidamente che sono le realtà editoriali predilette del mondo LGBT.

Tante storie, tutte volte a trasgredire l’ordine dei sessi o a raccontare le favole al rovescio, con il fine di contrastare le discriminazioni e costruire un mondo senza stereotipi o pregiudizi, ma senza avere la più pallida idea delle possibili problematicità che queste storie potrebbero creare (d’altra parte i membri che compongono il CSG non ne hanno le competenze).

Queste saranno le storie proposte agli insegnanti che parteciperanno al percorso 1. E – speriamo in pochi casi – queste saranno verranno lette ai bambini in classe da docenti zelanti e convinti della bontà della cosa, senza che i genitori ne siano a conoscenza.

Qualcuno di voi si chiederà: dove sta il problema? In generale, infatti, le persone non vedono nessun problema nella battaglia agli stereotipi. Forse anche perché non si sono mai chiesti in cosa consista. Consiste nell’interscambiare i ruoli e stereotipi tradizionali attraverso storie costruite ad hoc, con l’obiettivo ultimo di inculcare nel bambino l’idea che non esiste un modo ‘maschile’ o ‘femminile’ di manifestarsi, ma che ciascuno deve avere il diritto di poter comunicare il proprio essere maschio o femmina secondo le modalità a-stereotipate che ritiene giuste. Procedendo per sillogismo e portando all’estremo questa logica, potremmo dire che un maschietto dovrebbe poter scegliere di mettersi lo smalto per manifestare la propria mascolinità (o mettersi la gonna).

La logica sottesa al contrasto allo stereotipo, che vuole dare a tutti le stesse possibilità, è pericolosa. La nostra identità personale, infatti, non è solo frutto di ciò che noi sentiamo di essere, ma anche di un feedback che ci viene dato dal mondo che ci circonda. Significa che la mia identità maschile si costruisce anche dal modo con cui il mondo mi percepisce. Se sono un maschio e vesto come una donna, è evidente che chi mi vede si trova confuso: non sa bene chi ha di fronte! Questa confusione mi torna indietro e mi influenza nel mio modo di auto-percepirmi.

Il risultato è che questa lotta allo stereotipo, che vuole invertire e confondere le cose, contribuisce, assieme ad altri elementi culturali attualmente sempre più diffusi, a creare persone che fanno fatica a costruirsi un’identità chiara e stabile. D’altra parte è quello che sta accadendo in Inghilterra o in Svezia, dove in seguito a queste logiche, sono in aumento gli adolescenti che hanno problemi nella costruzione della propria identità.

Mi auguro che queste righe, se non hanno convinto, almeno possano aver stimolato il Lettore a non vedere in modo così acritico questa battaglia sul gender e gli stereotipi che noi trentini stiamo vivendo – anche se spesso in modo inconsapevole per superficialità ed indifferenza – sulla nostra pelle.

Profeta Tra i Leoni


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