24/11/2022 di Luca Marcolivio

Gandolfini: «Carriera alias strumento amministrativo devastante»

C’è un evidente filo rosso che lega la carriera alias al business della transizione di genere. Lo ha denunciato il neurochirurgo Massimo Gandolfini, presidente del Family Day, intervenendo lo scorso 16 novembre a Roma, alla presentazione del libro di Simone Pillon.

Gandolfini ha ripercorso la storia della teoria del gender, a partire dai primi saggi di Alfred Kinsey e John Money, a metà del secolo scorso. Già da quegli scritti si era reso evidente che l’obiettivo era «trasformare l’umano alle fondamenta», attraverso la demolizione di «un’idea di genere legata al binarismo e alla sessuazione». Tanta ideologia costruita a tavolino, tuttavia, non potrà mai negare che gli «interventi di transizione» sono di puro «maquillage» e che «la nostra struttura genica è inamovibile».

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Marciando ostinatamente contro la scienza e, in particolare, contro la biologia, i teorici del gender hanno proseguito la loro deriva, estendendo il numero di generi a 72 e aggiungendo la lettera Q e il simbolo + all’acronimo LGBT, che, ormai, agli occhi di taluni appariva «limitativo». Il passo verso il «transumanesimo» è breve: è l’idea che un essere umano-cyborg possa «autoriprodursi con la clonazione», attraverso le «biotecnologie». Siamo al superamento dell’idea stessa di uomo e, come affermava Chesterton, «quando si vuole modificare l’uomo, vuol dire che la scure è stata posta alla radice dell’albero».

Oggi, l’aspetto più preoccupante è che le teorie del gender non sono più «speculazioni di una nicchia di filosofi come all’inizio» ma passano attraverso «un’azione di indottrinamento ideologico nelle nostre scuole». La «carriera alias», ad esempio, è uno «strumento amministrativo devastante» adottato ormai in 144 istituti scolastici italiani. I primi atenei a sperimentare l’alias sono state le università di Torino e Bologna, seguite da quelle di Napoli, Firenze e Venezia-Ca’Foscari per arrivare poi alle «scuole di secondo grado».

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«Uno studente o una studentessa che si percepiscano del genere non correlato al proprio sesso, possono richiedere che tutte le anagrafiche che riguardano la scuola (registro, libretto delle assenze, compiti in classe) siano cambiate nel genere percepito», ha ricordato Gandolfini. «Indipendentemente dal mio sesso biologico, quello che conta è la mia identità di genere percepita»: tutto ciò è «un disastro», ha commentato il neurochirurgo.

«Pensate al subbuglio interiore che può esserci in ragazzi di 11, 12 o 13 anni – ha proseguito – che cercano di conoscersi e capire se stessi. Pensate ad un bambino delle elementari, che cerca di conoscere se stesso, attraverso l’unico fatto concreto che è il suo corpo, che cerca di conoscere la propria mascolinità o femminilità, trovare qualcuno che gli dice: “il tuo corpo non conta niente, quello che conta è come ti percepisci”. È una confusione totale, un marasma totale. Chiunque abbia studiato psicologia dello sviluppo, sa bene quanto questi temi siano di una delicatezza enorme».

Gandolfini ha quindi raccontato quanto gli venne confidato non molti anni fa da «una giornalista che non la pensa come me», che pure si disse «esterrefatta di fronte a quello che sta accadendo». La giornalista disse: «A 14 anni ebbi una crisi esistenziale enorme, mi sono buttata nell’anoressia alimentare, sono arrivata a pesare 44 kg. Se in quel momento, nella mia scuola, ci fosse stato uno psicologo che mi avesse detto: “la tua sofferenza, la tua depressione, la tua malinconia nascono dal fatto che tu non accetti il tuo corpo perché puoi essere in un corpo diverso”, io avrei effettuato la transizione di genere prima sociale, poi anche medica…».

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Queste operazioni, quindi, rappresentano un «rischio enorme cui sono sottoposti i nostri figli», ha affermato Gandolfini. «La transizione sociale è il primo passo per la transizione ormonale, attraverso i farmaci blocca-pubertà, e chirurgica» che molti Paesi hanno ampiamente sperimentato, salvo iniziare recentemente a fare dei «passi indietro».

«Centinaia di report che dicono la transizione è dannosa e non risolve i problemi di depressione e di ansia. I bambini che si percepiscono disforici spesso hanno problemi di personalità borderline: nei prepuberi l’incidenza generale dell’autismo è allo 0-2%, ma tra coloro che sono definiti disforici, sale al 20-25%. Stiamo facendo tutto quello che possiamo fare per bloccare questa deriva devastante!», ha concluso Gandolfini.

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