Gli ospedali cinesi dello Xinjiang uccidono i neonati e praticano aborti forzati anche a otto o nove mesi di gravidanza, nel tentativo di sterminare i musulmani uiguri che vivono in quella regione.
In un'intervista su Radio Free Asia , Hasiyet Abdulla, che ha lavorato per 15 anni in quegli ospedali, ha dato la sua tremenda testimonianza. Le donne sono monitorate. Devono chiedere il permesso per restare incinte. Il permesso può essere concesso per due o tre figli. Ma senza permesso non può nascere neanche un bambino.
Gli ospedali vengono multati se non ubbidiscono.
Le statistiche disponibili più recenti mostrano che tra il 2015 e il 2018 i tassi di natalità nelle regioni della Cina abitate prevalentemente da Uiguri sono crollati di oltre il 60%.
La Cina ha allentato la sua crudele politica demografica (visti anche i gravi problemi economici e sociali che ha procurato), ma non nelle regioni dove vivono le minoranze etniche: lo Stato totalitario non ammette che esistano al suo interno popoli con un'identità e una cultura proprie, come gli Uiguri o i Tibetani.
Un funzionario del Dipartimento di Stato americano, Morgan Ortagus, ha esortato la Repubblica popolare cinese a porre fine alla sua brutale persecuzione delle minoranze musulmane: i bambini vengono abortiti, gli adulti vengono incarcerati nei terribili laogai (campi di lavoro che in confronto i lager nazisti erano alberghi).
In proposito, silenzio assordante dell'Unione Europea e del nostro Governo, che a parole si proclamano tanto attenti ai diritti umani.
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