23/02/2014

Festival di Sanremo: totale flop tra buonismo e volgarità

Che le canzoni del Festival di Sanremo non se le ricordi nessuno non è di sicuro una novità: sono ormai anni che lo spettacolo della musica italiana viene assediato dal gossip, dalle polemiche costruite ad arte e da personaggi a volte anche a limite del grottesco.

Il flop di questa edizione, quindi, non deve essere imputato ai brani in concorso ma a tutta l’ingombrante cornice che è stata creata, tanto che vi sarebbe da chiedersi se, per un cantante seriamente intenzionato ad investire sulla propria arte, valga davvero la pena di prestarsi a fungere da formale giustificazione a tutto ciò.

Il Festival 2014 è partito con ascolti nella media rispetto alle precedenti edizioni, collassando già dalla seconda giornata: il pubblico sembra quasi aver voluto dare una possibilità alla coppia Fazio/Littizzetto, rimanendone subito deluso.

Tante possono essere le ragioni che hanno condotto a questa disaffezione ma principalmente riassumibili in due: borioso buonismo di facciata unito ad un profondo senso di volgarità.

Buonismo”, sì, la parola tanto odiata dallo stesso Fazio ma che rappresenta appieno la volontà di mettere in scena sempre e comunque lo spettacolino fintamente snob, condito di una fitta trama di richiami omosessualisti se non addirittura blasfemi. Qui non si tratta di essere “buonisti” o “cattivi”, bensì responsabili. Responsabili e consapevoli del ruolo che si ricopre, della dirompenza dei messaggi televisivi e dei pessimi esempi che ne possono derivare.

Sul piano della volgarità ormai si è raggiunto un livello di assuefazione tale da non destare particolare censura sociale apparente ma che, se portata agli estremi, urta ancora fortemente la cittadinanza. Se del buonismo paladino è Fazio, la medaglia d’oro della grettezza potrebbe essere conferita alla Littizzetto la quale, pare, non sappia combinare un discorso di senso compiuto senza inserirvi parolacce od allusioni sessuali.

Quest’anno poi si è raggiunto l’apice (almeno c’è da augurarsi sia tale) dello sfregio nei confronti del senso civico, invitando –a spese nostre- il cantante Rufus, noto per il livello di blasfemia assoluta di cui la sua cosiddetta carriera è pregna.

Nella mente dei puristi dei buoni sentimenti dovrebbero ancora riecheggiare le parole dell’allora Ministro Fornero, scandalizzata dalla visione della farfalla tatuata sul corpo della bellissima Belen: “Sono contraria a questa mercificazione del corpo della donna”, sentenziò. Omettendo però di dire che quella donna, Belen appunto, del suo corpo ne ha fatto un’arma in più per il suo lavoro di show girl. E per il pansessismo volgare dell’edizione 2014? Nessuno si è stracciato le vesti? Forse perché il duo di presentatori può essere tranquillamente annoverato tra le “avanguardie” dell’ideologia promossa da buona parte dell’attuale classe politica.

In una settimana in cui è nato un nuovo governo senza passare dal via delle elezioni, i cittadini italiani hanno avuto però un piccolo margine di poter scegliere attraverso il telecomando, cambiando canale o spegnendo la tivù davanti a certe scene.

Oltre allo sdegno generale, non si deve sottovalutare la mobilitazione cattolica che ha indetto un vero e proprio boicottaggio del Festival una volta visto tra gli ospiti Rufus.

“Nei giorni scorsi infatti” si legge in una lettera di Gianni Toffali pubblicata sulla Voce di Venezia “erano apparsi sul web non poche petizioni di protesta che invitano a mandare lettere di protesta alla Rai e a non guardare il Festival. Detto, fatto! Anche questa volta, il chi sono io per giudicare per un gay, ha si funzionato, ma al contrario!”

Redazione

 

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