05/05/2018

Fecondazione artificiale – L’adulterio in provetta

In Italia la fecondazione artificiale eterologa è stata vietata dalla legge 40/2004, ma nel 2015 la Corte Costituzionale, presieduta dal magistrato Giuseppe Tesauro, ha sentenziato che l’eterologa è un diritto. Come si possa essere arrivati a una simile affermazione è un mistero, ma non è questo il luogo per affrontare l’aspetto giuridico della questione.

Analizziamo, invece, alcune implicazioni di questa pratica, partendo da una domanda posta da molti bioeticisti: siamo sicuri che quel glio che si va a ‘produrre’ con seme o ovociti di un terzo estraneo non sarà un domani condannato a far soffrire i committenti e a soffrire lui stesso?

Partiamo dal primo punto, cioè dalle conseguenze dell’eterologa all’interno della coppia, esordendo con una citazione di Carlo Flamigni, celebre al ere della fecondazione artificiale. Nel 2002, nel suo La procreazione assistita, scriveva: «Molto importanti e degni di attenzione sono i riferimenti alle risonanze negative che la donazione di gameti può far nascere sia nel padre che nella coppia».

Quando l’uomo è sterile si sente in qualche modo ‘colpevole’, e finisce per credere che accettare il seme di un altro faccia felice la moglie e riporti la tranquillità in famiglia. Il ‘figlio’ non ha nessun legame genetico, biologico, con lui. Non è nato da un rapporto tra l’uomo e la donna, da una vera reciprocità, ma da un gesto da cui uno dei due partner è stato escluso (non senza patirne un’inevitabile umiliazione).

Capiterà di certo che qualcuno, ingenuamente, gli dirà: «Guarda un po’, non ti assomiglia per nulla!». Mettiamo qualche lite, tra moglie e marito, magari proprio a causa dell’educazione del glio divenuto adolescente: non è difficile capire che il padre si sentirà in molti momenti ‘secondario’, e che di fronte a una tensione con la madre, ella dimostrerà di sentirsi l’unica vera genitrice, mentre lui tenderà a farsi da parte. «Non è neppure mio figlio, tienitelo tu! Sei tu che lo hai voluto!».

Escluso dal rapporto generativo, l’uomo passa facilmente dal sentirsi umiliato, al desiderio di vendetta (sulla moglie o sul ‘figlio’ non suo); dall’abbattimento psicologico, all’affermazione della sua irresponsabilità nei confronti del non-figlio.

Possiamo davvero pensare che un glio che non nasce dall’unione della coppia, ma da un ‘adulterio’ in provetta, non destabilizzi i rapporti di coppia?

L’equiparazione che qualcuno tenta di fare tra ricorso all’eterologa e adozione è falsa: nell’adozione si salva un bambino che c’è già; si danno dei genitori a un bambino che non li ha più; inoltre i coniugi partono e rimangono su un piano di parità (sono entrambi esclusi dalla generazione biologica). A questo si aggiunga che, nonostante queste evidenti differenze, l’adozione, che pure è un bellissimo gesto di generosità, è questione da maneggiare con delicatezza, senza lasciarsi guidare dal solo romanticismo: l’accesso a essa (a differenza dell’accesso all’eterologa) prevede un controllo multiplo – psicologico, socio-economico e giuridico – e, nonostante questo, talora esita in un fallimento adottivo, eventualità più frequente quando il figlio è stato ‘voluto’ con gradi di convinzione diversi.

Tornando alla fecondazione eterologa, la sua problematicità per il rapporto di coppia è così evidente che il partito comunista nel 1985, a prima firma di Valentina Cardioli Lanfranchi, propose – invano – un disegno di legge in cui l’eterologa era permessa, ma era previsto il ricorso al consultorio familiare per ovviare (e come?) ai turbamenti che possono nascere nell’uomo «in relazione al senso di impotenza, all’angoscia di castrazione, alla vergogna della sterilità». E questo per via di numerosi allarmi lanciati da psicologi, psichiatri ed esperti in generale.

Sempre negli anni Ottanta, Willy Pasini – psichiatra, sessuologo e direttore del Servizio di ginecologia psico- somatica e di sessuologia di Genova – riassumeva il dibattito in corso notando che: «La maggioranza degli uomini percepiscono il ‘donatore’ come un rivale nei riguardi del quale i sentimenti di inferiorità, di gelosia, per non parlare di delirio di persecuzione, possono scatenarsi»; e aggiungeva che vi sono donne che desiderano «[...] una gravidanza per se stesse, non per la coppia». Esse «sono talvolta indotte a respingere il marito una volta che siano divenute gravide o che abbiano partorito», divenendo «di più in più allergiche e frigide verso il marito».

Una ricerca di O. Ferraris e D. Guerrini su 49 coppie che praticavano l’eterologa in un centro di Roma prima della legge 40/2004, rivela che “non è raro il caso di uomini in cui l’inferiorizzazione aumenta all’idea di una gravidanza da eterologa vissuta nei termini psicologici di un’infedeltà coniugale: il 40% degli uomini intervistati non desidera essere presente alle applicazioni; analogamente il 37% delle donne non desidera che il marito lo sia”.

Si potrebbero aggiungere tanti altri fatti: la presenza invisibile del ‘donatore’, nell’immaginario dell’uomo (come rivale) e della donna (come salvatore, ma anche come intruso); la con ittualità, rilevata nello studio sopra citato, all’interno di varie madri, tra il desiderio del glio e il rifiuto – conscio o inconscio – dell’inseminazione arti ciale (con ittualità psichica che sfocia persino in alterazioni ormonali, nel veri carsi di cicli anovu- latori non presenti in precedenza, in sogni in cui il glio, potenziale tanto desiderato, viene respinto...).
Oppure si potrebbero citare almeno altri quattro fatti che dimostrano come il riconoscimento nel figlio dei propri tratti biologici (riconoscimento negato a uno dei due genitori nell’eterologa) non sia per nulla secondario e ininfluente, come sostengono invece i fautori dell’eterologa stessa. Il primo: tante coppie ricorrono alla fecondazione artificiale omologa, anziché all’adozione, proprio per avere ‘un figlio tutto nostro’.

Il secondo: sin dal principio le banche del seme, per ‘rispondere’ evidentemente a una domanda esistente, e per provare a tamponare il fenomeno dei disconoscimenti paterni, hanno proposto anche la possibilità di selezionare un seme con caratteristiche il più possibile simili a quelle del padre ‘sociale’.

Il terzo: è già accaduto che donne ricorse alla fecondazione artificiale omologa siano rimaste incinte per errore con il seme di un altro uomo (eterologa involontaria), e siano ricorse all’aborto per eliminare il nascituro (Corriere della Sera, 11.12.2009).

Il quarto: oggi, nei cosiddetti matrimoni gay, i due maschi da una parte fanno di tutto per frammentare la figura materna (comperano gli ovuli da una donna, affittano l’utero da un’altra), per poi occultarla meglio (prevedendo che un giorno il glio la ricercherà); dall’altra spesso mescolano il loro seme, affinché non sia chiaro quale dei due gay sarà il padre biologico, e non si creino quindi contrasti all’interno della coppia (essendo uno dei due uomini ‘genitore’ per la legge, ma un semplice conoscente, in realtà, per natura).

Francesco Agnoli

Fonte: articolo pubblicato sulla rivista Notizie ProVita di aprile 2016, pp. 21-23.

La seconda parte di questo articolo si può leggere qui

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