16/08/2018

Fecondazione artificiale – L’adulterio in provetta (II parte)

In Italia la fecondazione artificiale eterologa è stata vietata dalla legge 40/2004, ma la Corte Costituzionale ha sentenziato che essa è un diritto. Tralasciamo, in questa sede, la questione giuridica e continuiamo l’esame dei problemi psicologici, medici e sociali per i soggetti coinvolti. Nello scorso numero di aprile (cliccare qui per leggere l’articolo) abbiamo spiegato le conseguenze che la fecondazione artificiale può avere all’interno del rapporto di coppia e sui genitori. Ora ci soffermeremo sui figli (quelli sopravvissuti) che nascono da gameti non appartenenti a uno (o a entrambi) i ‘genitori’ e sulla figura dei ‘donatori”, fornitori di sperma e/o di ovuli.

È difficile immaginare cosa succede a dei ragazzi che, una volta cresciuti con o senza mamma o papà, apprendono di essere figli biologici di un estraneo? Se sì, è sufficiente guardare cosa accade nei Paesi dove l’eterologa è praticata da anni. Citiamo, a titolo d’esempio, il Corriere della Sera del 23.11.2010: «Solo negli Stati Uniti sono più di trentamila i figli nati da donatore sconosciuto che hanno affidato al Web la ricerca delle proprie radici. Figli in provetta che, attraverso blog o community dedicate, cercano non solo di risalire al padre biologico, ma anche di ritrovare fratellastri e sorellastre con cui condividere storie e sentimenti... ‘Sono il prodotto di un donatore anonimo’ – dice nel suo blog Lindsey Greenawalt – e ora che sono adulta sto cercando risposte a costo di alzare la voce’. Perché, spiega, ‘se avessi potuto scegliere tra una vita a metà e una non vita avrei scelto quest’ultima’. Sempre su Internet, tra i tanti siti di annunci ‘cerco papà’ o ‘cerco fratelli’, c’è poi il gruppo ‘famiglie del donatore 1476’: tutti biondi, tutti con gli occhi azzurri e tutti con la stessa voglia di trovare quella metà di se stessi che manca».

Leggere le testimonianze che vengono postate su siti come Anonymous US spezza letteralmente il cuore. Ma non ci sono solo rischi psicologici, bensì anche fisici. Tante ricerche dimostrano che i nati da fecondazione artificiale, omologa o eterologa, sono maggiormente esposti a mortalità perinatale, diabete, ipertensione, malformazioni genetiche e morbilità. Per i bambini, concepiti artificialmente, aumenta considerevolmente il rischio di parto pretermine. In generale si riscontra una maggior difficoltà di sviluppo del feto e dopo la nascita si riscontrano più facilmente problemi di crescita, sia fisici che intellettivi e psichici. Non è, infatti, la stessa cosa venir concepiti in una provetta di vetro o nella tuba uterina; e non è la stessa cosa nascere da un ovulo venuto a maturazione naturalmente, o da uno dei vari ovuli di un’estranea portati a maturazione attraverso un’iperstimolazione ovarica, cioè un trattamento ormonale. Né è la stessa cosa essere concepiti da uno spermatozoo che naturalmente arriva (con fatica!) a fecondare l’ovocita, piuttosto che da uno selezionato da un medico e portato con una pipetta fino al nucleo con cui congiungersi...

Ma se la sofferenza possibile delle coppie e quella certa dei bambini nati con queste pratiche è reale, oggettiva, cosa rende la fecondazione artificiale così diffusa e sponsorizzata? Il mercato! Qual è, infatti, l’elemento più evidente di questa invasione del mercato nella filiazione? La nascita delle banche degli ovuli e del seme, inevitabile laddove vi sia fecondazione artificiale eterologa, e la figura del ‘donatore’. Banche e ‘donatore’. La prima parola indica la verità delle cose: stiamo parlando di compravendita, relativamente all’uomo. La seconda, ‘donatore’, è una creazione orwelliana: a parte pochissimi casi di donatori ideologici, l’uomo e la donna che seminano figli loro in giro per il mondo sono venditori che s’inseriscono nel ricco mercato alimentato dalla disperazione e dal capriccio.

Debora Spar, docente di Business Administration alla Harvard Business School, ha scritto un testo, Baby Business (Sperling & Kupfer), nel quale descrive in modo asettico il mercato del seme, degli ovuli, degli uteri in affitto, soprattutto negli Usa. Riguardo al venditore di seme, di solito costui viene attirato tramite materiale promozionale cartaceo, oppure attraverso proclami in rete, e riceve circa 70-80 dollari per volta. Ogni campione di seme è sufficiente per 3-6 fiale, ognuna delle quali viene rivenduta per una cifra tra i 250 e i 400 dollari, con un margine di guadagno per le banche di circa il 2000 per cento. Quanti poveri figli – ‘nati’ da una masturbazione a pagamento, invece che da un atto d’amore – può spargere in giro il poveretto? In Italia, prima della legge 40, vi furono persone, in qualche caso malati di Aids, che arrivarono a donare centinaia di volte; e, quanto alle donne, «esisteva un vero e proprio mercato di ovociti rubati, e anche molti embrioni cambiavano proprietario» (Chiara Valentini, La fecondazione proibita, Feltrinelli, 2004). Il mercato degli ovuli muove cifre molto più alte: infatti, la cosiddetta ovodonazione è assai pericolosa. Le donne che vendono i loro ovuli vivono sulla loro pelle una pratica altamente invasiva. Le denunce di questo crescono di continuo nei Paesi in cui l’eterologa è legale da tempo. Ma “pecunia non olet”: già nel 2004 molti centri per la fertilità americani proponevano cataloghi di ovuli con un costo tra i 3000 e gli 8000 dollari!

Francesco Agnoli

Fonte:
Notizie ProVita, n. 42, Giugno 2016, pp. 26-27

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