04/10/2022 di Fabrizio Cannone

Evviva l'arbitro (donna!) che espelle il femminismo sterile

Domenica 2 ottobre 2022 resterà per gli amanti del calcio, e non solo, come una giornata speciale da ricordare negli annali. Per la prima volta infatti, nella storia dello sport preferito dagli italiani, una donna ha arbitrato una partita di seria A.

Su fatti di costume come l’arbitraggio di Maria Sole Ferrieri Caputo nella partita Sassuolo-Salernitana, i giudizi si sprecano e i commenti sono anche troppi. Fortunatamente, però, la sua professionalità, le sue qualità – insomma, finalmente la meritocrazia! – ha prevalso sul rischio di essere etichettata solo come “donna” ad arbitrare e non, appunto, per i suoi meriti.

Addirittura anche Repubblica, infatti, si è dovuta piegare a questo, riconoscendo che Maria Sole «ha arbitrato senza schwa e senza asterischi, senza imbarazzi e senza pregiudizi». Solo che i pregiudizi oggi sono quelli di chi nega il valore della femminilità e riduce la donna a “maschio come tutti gli altri”.

Certo, anche Repubblica alla fine è scaduta in un’euforia esagerata, affermando che la Ferrieri Caputo «ha corso più dei giocatori sconfitti e almeno quanto i giocatori vittoriosi», ma allo stesso tempo quella ammissione di aver arbitrato «senza schwa e senza asterischi» ha di fatto scardinato le teorie gender fluid che lo stesso quotidiano, ahinoi, porta avanti gli altri 364 giorni dell’anno.

Perché se una donna è stimabile, in quanto donna che realizza qualcosa, allora non è vero che i sessi non esistono, o che «donna non si nasce, si diventa». E neppure che maschi e femmine sono assolutamente identici. Dunque ben venga la meritocrazia di una donna – o un uomo – che viene elogiata per i suoi meriti professionali e non per altro, poiché questo atteggiamento è diametralmente opposto alle teorie decostruttive del gender e del sesso a scelta, o dei “mille generi” esistenti secondo gli Lgbtqia+

Un atteggiamento conclamato dalla stessa Ferrieri, che ha dichiarato – in barba alle femministe radical chic - che la si può tranquillamente chiamare arbitro. «Arbitra non mi piace perché sottolinea che sono donna». E, contro le femministe più manichee, il merito c’è a prescindere dall’anatomia. Ed esaltare la donna arbitro, solo perché donna, offende le qualità specifiche della ragazza che non sono innate, ma acquisite in anni di lavoro e di passione.

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.