08/11/2014

Eutanasia. Quello che non si dice (o non si vuole dire)

Brittany Maynard era una ragazza americana di 29 anni che, dopo la diagnosi di un tumore al cervello in fase terminale, ha deciso di porre fine alla sua vita adottando il “Death with Dignity”, la sciagurata legge che ammette l’eutanasia in nome di un non meglio identificato diritto di “morire con dignità”. In Oregon, così come in altri quattro Stati americani, l’eutanasia è prevista. Dopo il suo caso, da parte di associazioni radicali,  è tornata prepotente la folle richiesta di legalizzarla nel Bel Paese. Ma, ci chiediamo noi, quale è la situazione in Italia?

La legge italiana vieta espressamente tutte le forme eutanasiche, quella attiva diretta, quella attiva indiretta e quella passiva. Sebbene diverse pratiche diffuse come sospensione dei trattamenti, sedazioni terminali, ordini di non rianimazione sono, nel silenzio generale e contro le leggi vigenti, sempre più diffuse.

Riportiamo la cruda intervista, ad opera di Pagina99, ad un’anestesista di 30 anni che racconta la sua pratica della morte con fredda nonchalance, senza nascondere l’incredibile realtà celata da molti dottori, infermieri, che invece di vivere la missione medica si ergono a giudici del fine vita.

«L’eutanasia passiva e quella indiretta vengono praticate tutti i giorni» sentenzia l’anestesista «Spesso sono i pazienti che me lo chiedono, a volte i familiari. E allora mi astengo dal fare certe cose. Do loro la morfina per contenere il dolore, la benzodiazepina per farli dormire. Oppure do acqua e zucchero, così non interrompo l’alimentazione obbligatoria e allo stesso tempo li aiuto a lasciarli morire».

“Ma se l’eutanasia attiva”, continua Pagina99 nella sua agghiacciante inchiesta, “rimane poco praticata (tra lo 0,5 e il 2% dei casi), quelle indirette e passive avvengono di continuo”.

Racconta un dottore «Quando arriva in reparto un malato di Sla in crisi respiratoria lo ventilo manualmente e mi faccio dire davanti a testimoni se vuole essere intubato, perché in quel caso vivrà per sempre attaccato a una macchina». «Se lui rifiuta l’intubazione devo avere il coraggio di non fare più niente. Gli lascio la mascherina con ossigeno, gliene do più del dovuto, così va in apnea e smette di respirare. Muore addormentato, senza soffrire. Si può chiamare eutanasia questa? L’ho ammazzato? O gli ho evitato una sofferenza inutile? Si guarda sempre il lato legale e non la volontà di chi soffre. Una paziente mi maledice ogni giorno per averla intubata. I parenti l’hanno convinta a farsi attaccare al ventilatore. E io ho fatto così».

 

Se questo accade tra le nostra mura, nella disperazione di ospedali trasformati in mattatoi, in Europa la situazione è ben peggiore. Paesi Bassi, Svezia e Belgio hanno legalizzato l’eutanasia da tempo. La Svizzera fa scuola a sé, e gli “alunni” del suicidio assistito crescono, circa cinquecento all’anno, di cui 50 dall’Italia. Il trend in maggiore aumento.

Cosa possiamo aspettarci da un paese in cui il professor Mario Sabatelli, neurologo del Policlinico Gemelli di Roma, dichiara: «I miei pazienti in fin di vita possono scegliere se continuare a vivere attaccati a una macchina o essere lasciati andare».

E’ così che la professione medica, tradendo etica e missione, promuove nell’impotenza dei più deboli l’eutanasia su richiesta, nuova frontiera del pensiero unico liberticida, perpetrando la “via utilitarista di disimpegno di fronte alle vere necessità del paziente”[1].

La cosa triste? C’è chi pensa che panacea di tutto sia il testamento biologico. Peccato si dimentichi che la sua utilità è pari al registro delle unioni civili. Inutile.

Emanuele Fonzo

Fonte: Pagina99


[1] PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, IL RISPETTO DELLA DIGNITÀ DEL MORENTE

Considerazioni etiche sull’eutanasia

 

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