06/09/2021 di Francesca Romana Poleggi

Eutanasia o suicidio assistito: la deriva mortifera è inarrestabile 

Sul Journal of Medical Ethics di questo mese, in “Maid’s slippery slope: a commentary on Downie and Schuklenk", Tom Koch, professore all’Università della British Columbia, a Toronto, in Canada, ha pubblicato una risposta chiara e inconfutabile a chi tenta di difendere la legge sull’eutanasia in vigore nel suo Paese da 5 anni. 
 
“Maid” sta per medical aid in dying, cioè aiuto medico a morire,  un termine che è un capolavoro della neolingua: in inglese la parola maid vuol dire cameriera, fanciulla. È una parola quanto mai rassicurante. Come lo sono “aiuto” e “medico”. Invece si tratta, in realtà, di morte procurata. Anche l'espressione "suicidio assistito" sembra più accettabile che "eutanasia". Sarebbe bene, allora, che imparassimo a non usare più queste espressioni false e falsificanti (“eutansia” letteralmente  vuol dire  “bella morte”, ma la morte non è bella né buona). Impariamo ad usare le parole vere che servono a descrivere la realtà: se il suicidio deve essere "assistito" vuol dire che quella persona da sola non ce la fa a uccidersi. Quindi, chi lo aiuta, di fatto, lo uccide. Si tratta sempre e comunque dell'omicidio di una persona più o meno consenziente, motivato dal fatto che bisogna fargli un “favore” per porre fine alle sue sofferenze. Il che è certamente più semplice e più sbrigativo rispetto alla cura, all'accompagnamento, al sollievo,  alla prossimità con chi soffre. Dicono gli psichiatri specializzati in suicidologia che l'aspirante suicida in realtà non vuole morire, vuole smettere di soffrire per la solitudine...  
 
Se non impariamo a fare chiarezza con le parole, e nella nostra mente, ci troveremo impantanati in sterili distinguo di parole: alcuni diranno che è meglio il suicidio assistito, su cui sta legiferando il Parlamento per adeguarsi al diktat della Corte Costituzionale, intervenuta a gamba tesa e oltre i limiti delle sue competenze, a seguito della questione postasi in occasione del "suicidio"  di DJ Fabo, coadiuvato da Marco Cappato. Altri saranno più convinti dal referendum dei radicali che vuole proprio - di fatto - introdurre l’eutanasia. Già ci siamo fatti imbambolare dalle parole, quando nel 2017 è passata la legge sulle Dat, sul testamento biologico, sulla rinuncia alle "terapie" (come mangiare e bere!) che di fatto già permette il suicidio assistito e l'eutanasia, in una deriva che si prospetta inarrestabile. 
 
E sarà inarrestabile se non si troverà  una volontà politica seria e apertamente pro vita (che nel Parlamento attuale non c’è sicuramente) che avesse il coraggio di abrogare la legge 219 del 2017 e di investire seriamente nella cura di chi soffre, degli anziani e dei disabili. 
 
La prova della deriva inarrestabile, del principio del piano inclinato, è data da quei Paesi che l'hanno già sperimentata. Nell'articolo di cui dicevamo all’inizio, Koch stronca le argomentazioni di chi dice che i “paletti” normativi funzionano, presentando semplicemente i dati ufficiali: i casi di Maid, cioè le persone uccise perché sofferenti (vedete bene che a dire le cose con le parole vere cambia tutto) in Canada sono state 1018 nel 2016  e  21.589 nel 2020. 
 
Non ci stancheremo mai, quindi, di ripetere, con tutto il fiato che abbiamo in gola, che “i casi in  cui” il Parlamento vorrebbe consentire il suicidio assistito e quelli in cui il referendum vorrebbe legalizzare l’eutanasia non sono rilevanti. I paletti salteranno de facto come sono saltati in tutti i luoghi dove hanno tentato di metterli. 
 
E saltano, inevitabilmente, perché se si riconosce il “diritto di morire” e la morte diventa quindi un “bene”, un interesse  protetto dalla legge, allora, per il famoso principio di uguaglianza, esso va riconosciuto a tutti. Gli eutanasisti  lo annoverano tra “i fattori sociali che determinano la salute” (espressione coniata dall’Oms per definire le questioni non strettamente mediche che influenzano il benessere, dal razzismo alla disabilità, dalla disoccupazione alla malattia mentale). Negarlo, per esempio, ai malati mentali vorrebbe dire  discriminarli, "sacrificare i diritti del paziente sull’altare del paternalismo".
 
Dal suo canto, la nostra Corte Costituzionale, che evidentemente incarna da tempo la “cultura della morte”, non aspetta altro: sostituendosi sfacciatamente al legislatore (che dovrebbe essere tale in quanto rappresentante del popolo sovrano - e il silenzio del Presidente della Repubblica sulla questione è imbarazzante), imporrà la morte per tutti. 
 
Inoltre, Koch rileva che l'incapacità di controllare il dolore e di risolvere altri disagi è stato il motivo per la richiesta di morte in oltre la metà di tutti i casi di Maid: ci sono pochi medici e operatori sanitari specializzati nella palliazione e nella riabilitazione. E da quando è stata legalizzata l’eutanasia il numero di costoro è andato vieppiù scemando. 
 
In Italia, oggi, solo il 30% dei malati oncologici ha accesso alle cure palliative. E nel settore pediatrico è anche peggio. Potrà migliorare la situazione dopo l'introduzione dell'eutanasia (o suicidio assistito che dir si voglia)? Ovvio che no. 
 
Si abbia il coraggio di dire, senza ipocrisia, che gli anziani, i disabili, i malati e - in genere - gli “infelici” danno fastidio: eliminarli serve a potersene andare in vacanza spensieratamente, a risanare i conti pubblici e a risolvere il problema dell'invecchiamento della popolazione. 
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