26/09/2019

Eutanasia, il CASO STRAORDINARIO che sta sconvolgendo l'Italia

Negli stessi giorni in cui a livello politico, in Italia, è quanto mai acceso il dibattito sull’eutanasia - e pare che la sola priorità sanitaria sia quella del cosiddetto fine vita -, dalla Campania arriva la notizia di una vicenda di segno totalmente opposto; una vicenda che parla di vita, di medicina vera e di ripresa miracolosa. È la storia di una ragazza di 18 anni di Scafati «letteralmente strappata alla morte», per dirla con le parole della madre Rosaria.

Tutto ha avuto inizio quando la giovane, di punto in bianco, si è trovata prima a perdere progressivamente lucidità, poi con difficoltà a camminare e quindi in coma. Sono quindi partiti immediatamente i soccorsi ma solo quando la giovane, dopo essere stata visitata dai medici di Nocera, è arrivata all’ospedale Cardarelli di Napoli è stato possibile formulare la diagnosi definitiva, molto complessa vista l’apparente mancanza di una causa.

Sì, perché all’inizio si sono accavallate le ipotesi più diverse – si è pensato in primis ad un disturbo della personalità, poi a una meningite – senza che però nessuna di esse risultasse convincente fino in fondo; nel frattempo, però, la diciottenne continuava a peggiorare, cosa che ha reso urgente il trasferimento Cardarelli. Gli specialisti dell’ospedale napoletano sono fortunatamente riusciti, grazie a diversi accertamenti, a capire che cosa avesse la giovane, ossia un teratoma ovarico.

Trattasi, in breve, di un «tumore benigno a struttura complessa caratterizzato dalla presenza di più tessuti nei quali può essere ravvisata una differenziazione organoide più o meno evoluta. Ad esempio abbozzi di ossa, ghiandole surrenali, denti o strutture nervose e così via», come ha avuto modo di spiegare Claudio Santangelo, il chirurgo che ha poi eseguito l’intervento. Alla luce del quadro clinico finalmente messo a fuoco, si è infatti reso urgente intervenire chirurgicamente sulla paziente. Cosa che è stata prontamente fatta con un esito prodigioso: il risveglio della giovane, che fino a poche ore prima versava in condizioni che non è esagerato definire disperate.

Ora, il lieto fine di questa vicenda – per il quale non possiamo ovviamente che rallegrarci – offre lo spunto a numerose riflessioni. La prima riguarda l’efficienza esemplare di cui è spesso capace la sanità italiana, anche nel meridione, dove purtroppo le cronache non mancano, ogni tanto di segnalare, di far emergere storie che vanno in senso diametralmente opposto. Bene quindi che ci siano storie come quella della giovane di Scafati.

Un secondo spunto di riflessione riguarda il modo non solo efficiente ma anche umanamente impeccabile con cui è stata seguita la diciottenne. A testimoniarlo, ancora una volta, è stata la madre Rosaria: «Mia figlia era una paziente qualunque, l’hanno trattata come una regina». Naturalmente anche di questo secondo aspetto non possiamo che rallegraci, nella consapevolezza che esso però esprime molto di più di un dato di cronaca. Il trattamento da re o «da regina» è infatti quello che ad ogni paziente dovrebbe essere riservato; e soprattutto è uno dei veri tratti caratterizzanti della scienza medica, che non si confronta solo con qualcosa da guarire ma, anzitutto, con qualcuno da curare.

Queste possono apparire considerazioni banali, ma non lo sono per niente. Viviamo infatti un tempo strano, in cui non solo non sembra essere più chiaro che il compito della medicina è salvare sempre la vita – non certo dare la morte -, ma va pure sbiadendosi il concetto di dignità del paziente; paziente da non intendersi solo come “cliente” di una struttura sanitaria, ma da riscoprirsi come persona intrinsecamente degna di essere sempre curata e assistita come, appunto, «una regina».

 

di Giuliano Guzzo

 

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