15/12/2019

Eutanasia, il caso che avvalora le tesi di Pro Vita & Famiglia

Ci hanno dato degli insensibili, senza motivare tale accusa, quando abbiamo affermato, nell’ultima campagna di Pro Vita & Famiglia Onlus, che nessuno di quelli che chiedono l’eutanasia vuole davvero morire e che tale grido nasconde il loro bisogno di essere aiutati a vivere. Ed ecco un nuovo caso che avvalora la nostra tesi, ce ne parla Il Giornale di Vicenza in un suo articolo.

Una grave forma di distrofia muscolare presente dalla nascita ha costretto S.G. su una sedia a rotelle dall’età di soli 14 anni. Ora ne ha 46, «vive attaccato ad un respiratore, ha bisogno di un’assistenza costante per mangiare, bere, soffiarsi il naso, lavarsi, spostarsi. La pensione di invalidità non gli permette di pagarsi una badante a tempo pieno. Così è condannato al costante terrore che il respiratore si stacchi quando la persona che lo segue a mezzo servizio non c’è, mentre aspetta comunque l’aggravamento inesorabile di una malattia che entro pochi anni lo ridurrà in un letto, definitivamente immobile».

Ora dice di volere l’eutanasia: «Che vita è questa? […] con la pensione che mi passano riesco a malapena a pagare le tasse e una badante che stia con me la mattina e la notte» e i media invocano leggi sul fine vita come atto di “compassione” nei suoi confronti.

Ma ci rendiamo conto che se l’uomo chiede la morte non è perché vuole morire, ma perché non riceve aiuto sufficiente a vivere? Nelle sue condizioni gli occorre assistenza continua e disponibilità economica almeno per quanto riguarda il necessario. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui. E cosa si aspetta per garantirgli ciò di cui ha bisogno per vivere?

Merita di ricevere tutte le cure di cui necessita, merita che la sua vita venga tutelata, che qualcuno lotti per il suo diritto a vivere e non a morire. Perché il malato, il disabile, il sofferente non deve essere considerato un peso sociale, un costo dispendioso e improduttivo, ma una persona, un uomo dalla dignità inestimabile e incrollabile.

 

di Luca Scalise

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