06/01/2015

E’ omofobia difendere i diritti dei bambini?

Perché accettare l’equazione “difendere i diritti dei bambini = omofobia “?

L’odierna ventata di relativismo omosessualista non ha solide ragioni morali, logiche o scientifiche su cui basare le proprie pretese, pertanto non può che procedere per frasi fatte e luoghi comuni, fallacie logiche ed insulti.

L’esempio più tipico è l’accusa di “omofobia” per chiunque osi assumere posizioni critiche sull’agenda dell’ideologia gender,  che è oggi dominante. Dare dell’omofobo è considerato ormai un vero e proprio insulto.

Anche in questo caso, il trucco è presto svelato: si tratta di una fallacia sofistica chiamata “argumentum ad hominem ” e in qualche caso anche di “avvelenamento del pozzo ”.

Con questa tecnica,  fin dall’inizio il dialogo è portato fuori dal terreno della ragione: chiunque critichi le teorie omosessualiste, in qualsiasi modo, è per definizione un omofobo, una persona piena di pregiudizi, con dei problemi. Dunque il suo parere non vale,  a priori.

Perché accettare passivamente quest’equazione ingiustificata?

Tralasciando qui il fatto che “omofobia” è un termine dal significato fumoso ed inventato con uno scopo preciso, passiamo all’analisi di quello che realmente succede accettando queste ingiurie senza la minima replica.

Una famosa storiella potrà aiutarci a visualizzare come nessun epiteto dev’essere concesso senza discuterlo a fondo e sgombrare il campo da fallacie sofistiche. Soprattutto quando si danno scontate posizioni che scontate non sono affatto (come per esempio che i presunti “omofobi” avrebbero sempre torto, in quanto tali, mentre gli omosessualisti avrebbero sempre ragione a priori):

La rana messa dentro la pentola piena d’acqua tiepida nuota tranquillamente. La temperatura sale, l’acqua si scalda. Diventa sgradevole, ma lei non si spaventa. L’acqua ora è calda; la rana inizia a star male, non ha più la forza di reagire e allora non fa nulla. La temperatura sale ancora, e la rana muore senza aver neppure tentato di scappare. Se fosse stata immersa direttamente nell’acqua calda invece che tiepida sarebbe balzata subito fuori dal pentolone“.

Accettare un dialogo in difesa, senza reagire indignati ogni volta che si viene attaccati ed indebitamente assimilati come persone colme di pregiudizi, provoca un pericoloso slittamento del discorso su un piano che poi risulta difficilmente gestibile. Si finisce inesorabilmente col restare bloccati nel pentolone degli pseudo argomenti Lgbt.

Il linguaggio è fondamentale. I termini sono importantissimi: non devono essere utilizzati senza prima essere discussi e senza prima mostrare quale logica sottendono.

Facciamo un altro esempio per illustrare il concetto.

Luce Irigaray, filosofa, psicanalista e linguista belga, rispetto alle proposte di abolire le parole “padre” e “madre”, sostituendole con “genitore 1′′ e “genitore 2′′, ha recentemente spiegato in un’intervista: «Le dirò, è una cosa da piangere. Mi viene la voglia di rispondere in modo radicale, ma mi trattengo: stiamo diventando un numero, la nostra identità naturale e storica viene riassunta in un numero, in una definizione neutra». Dietro due etichette a prima vista insignificanti, che metterebbero tutti d’accordo, si nasconde un concetto di una gravità abissale.

Una volta interiorizzato, è di fatto precluso qualsiasi ragionamento fondato: “genitore 1” e “genitore 2” entrano nel linguaggio comune per mettere in discussione il ruolo di padre e madre. Al loro posto si pretende che vada bene chiunque: un neutro,  per l’appunto.  Accettare questa etichetta significa dunque accettare implicitamente il fatto che i bambini possono essere inseriti in contesti dovere padre e madre sono loro negati.

Tornando al nostro esempio,  si pretende che venga supinamente accettato il nuovo significato imposto alla parola “omofobia”,  termine che etimologicamente dovrebbe fare riferimento ad una fobia, appunto, per “ciò che è uguale” ma che col passare del tempo ha assunto sempre più un significato preciso: avversione alla lobby gay.

Tanto che oggi è omofobo chiunque difenda un modello di società in cui al bambino venga assicurato il diritto di avere un padre e una madre. E così è omofobo chi non considera superflua per il bambino la figura paterna o materna, etc. Da qui il capovolgimento concettuale: in quanto omofobo e pieno di pregiudizi il sostenitore dei diritti del bambino non va ascoltato, ma fatto tacere. Magari rieducato, meglio se con una legge ad hoc.

Ora, chi l’ha detto che sostenere i diritti dei bambini è l’equivalente logico di avere “paura dell’uguale”?

Come è facile constatare si tratta di due cose completamente diverse, che vengono abilmente mescolate insieme solo ai fini della propaganda omosessualista. Occorrerebbe anche in questo caso non lasciar correre e rispondere punto per punto, ogni volta, mostrando che non esiste alcun legame logico tra la (presunta) “paura dell’uguale” e la difesa dei diritti naturali dei minori, primo dei quali è l’avere un padre e una madre.

Alessandro Benigni

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