08/11/2021 di Manuela Antonacci

E’ “libertà” poter staccare la spina dopo un anno di stato vegetativo? E’ davvero libertà poterlo fare in ogni caso?

Ci chiediamo se sia davvero un “atto d’amore”, così definito da Giorgio D’Incà, padre di Samantha, 30 anni, in come vegetativo da 11 mesi, riferendosi alla sua “battaglia” per ottenere dal giudice tutelare del Tribunale di Belluno l’autorizzazione all’interruzione della nutrizione, dell’idratazione e della sedazione della ragazza, fino alla sua morte, previo parere dei medici e nomina del genitore a tutore della giovane.

La vicenda della ragazza è sicuramente drammatica: tutto è iniziato con una banale frattura alla gamba, il 4 dicembre 2020, dopodiché la donna ha contratto una polmonite ed è entrata in coma. Una vera disgrazia che i genitori di Samantha hanno affrontato come una vera e propria battaglia che dicono di aver condotto per la “dignità e il rispetto” della vita della donna.

Quello che ci si chiede, però, è come sia possibile che si arrivi al punto di considerare la fine della vita come l’unico gesto possibile, come l’unica alternativa davvero da vagliare. Prendere una decisione così ferale e definitiva su una persona che non può esprimersi, per eventualmente ribellarsi e manifestare il suo diniego, ha più il sapore della sconfitta. Della sconfitta di un sistema sanitario e di una cultura della medicina che non riesce – o forse non vuole – occuparsi della sofferenza e investire a pieno nelle cure palliative.

Quasi a voler giustificare una richiesta così estrema, papà Giorgio avrebbe specificato che Samantha, quando era ancora in salute, nel commentare la vicenda di Eluana e Dj Fabo, avrebbe dichiarato che non avrebbe mai voluto vivere così. Ma come ben sappiamo, nella vita si può benissimo cambiare idea, perché spesso quando certe cose ci toccano da vicino, può subentrare uno spirito di sopravvivenza e un attaccamento alla vita che nemmeno credevamo di avere.

Una vicenda che, ovviamente, merita il massimo rispetto per il dolore e le sofferenze he questa famiglia sta vivendo, ma quando molta stampa parla di “libertà” ritrovata nel ricorrere all’eutanasia, ci chiediamo che tipo di libertà sia. Una libertà fatta propria da una certa parte politica che, lo sappiamo, ultimamente sta spingendo proprio per il Suicidio Assistito e per l’omicidio del consenziente, ma che crediamo non debba avere l’ultima e definitiva parola sul destino delle vite altrui.

 

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