23/05/2022 di Francesca Romana Poleggi

Donne morte per aborto. La reticenza dell’Istituto Superiore della Sanità

Il report recentemente pubblicato nella Biblioteca di Pro Vita & Famiglia, scritto da Lorenza Perfori e intitolato "Aborto: dalla parte delle donne", è un documento denso di dati e di citazioni. Da esso vorremmo estrarre ed evidenziare alcune delle questioni sulle quali è  particolarmente importante riflettere e sulle quali ci piacerebbe aprire un confronto franco, leale e trasparente con le autorità sanitarie e con gli abortisti, nel vero interesse delle donne e della loro "salute sessuale e riproduttiva". Per la bibliografia e gli approfondimenti, ovviamente, rimandiamo alla nostra pubblicazione.




L’indice di mortalità materna (MMR , cioè maternal mortality rate) indica quante donne muoiono durante o subito dopo una gravidanza. È un dato importante per valutare se e come il sistema sanitario di un Paese si prende cura della “salute sessuale e riproduttiva” delle donne.

Basare il dato solo sui certificati di morte o sulle indagini Istat o sulle Schede di dimissioni ospedaliere (SDO) ha fornito dati parziali e sottostimati. Quindi, i ricercatori hanno ritenuto di procedere con  degli studi di “record linkage”, che incrociano, collegano, i dati,  tenendo conto e dei certificati di morte , e delle SDO, e dei dati Istat: incrociando i dati si ottengono risultati più veritieri. 

Anche in Italia, nel 2008, l’ISS ha promosso un progetto di ricerca, finanziato dal Ministero della Salute, con l’obiettivo di rilevare e quantificare, tramite le procedure di record-linkage, la sottostima dei casi di morte materna italiani, calcolare l’MMR effettivo e analizzare le principali cause di mortalità.

Il primo studio italiano di record-linkage (Donati S, Senatore S, Ronconi A), Maternal mortality in Italy: a record-linkage study, ha incrociato i dati di 5 Regioni italiane (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia) che complessivamente coprivano il 38% della popolazione femminile in età riproduttiva (15-49 anni) in Italia. Lo studio ha preso in esame tutte le donne decedute in età riproduttiva durante il periodo 2000-2007 verificando se, nei 365 giorni che precedevano la morte, erano state ricoverate per gravidanza o qualsiasi esito di gravidanza (parto, gravidanza ectopica, aborto spontaneo, aborto indotto). L’incrocio dei dati ha permesso di individuare 260 morti materne, delle quali 118 (il 45%) entro 42 giorni dall’esito di gravidanza e 142 (il 55%) tra 43 giorni e 1 anno. Sono state inoltre individuate ulteriori 15 morti correlate (9 accidentali, 4 da incidenti stradali e 2 omicidi) che però - scrivono i ricercatori - non sono state inserite nel calcolo dell’MMR, secondo quanto stabilito dalla classificazione ICD-10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e delle complicanze) dell’OMS.

Il MMR stimato è risultato pari a 11,8 morti materne su 100.000 nati vivi, che equivale a una sottostima della mortalità del 75%, rispetto al dato nazionale Istat (3 su 100.000), e del 63% se confrontato all’MMR dell’Istat calcolato sui certificati di morte delle 5 Regioni esaminate (4,4 su 100.000 nati vivi). Tuttavia, dopo aver correttamente individuato le morti materne di ciascun esito di gravidanza, i ricercatori italiani non hanno voluto comunicare né l’ammontare dei decessi per ogni esito, né gli MMR corrispondenti al dottor Reardon, che evidenzia questa lacuna dello studio italiano nella sua metanalisi del 2017: «Un’occasione mancata sembra essersi verificata in uno studio su donne italiane in cui i ricercatori riferiscono di aver effettivamente collegato i certificati di decesso ai record degli aborti indotti e degli aborti spontanei, ma purtroppo nelle analisi che hanno pubblicato non hanno fornito alcuna ripartizione dei rapporti di mortalità di ciascun esito di gravidanza». E aggiunge: «La nostra richiesta di ripartire i decessi per ciascun esito di gravidanza è stata respinta».

In sostanza, i ricercatori italiani sono in grado di stabilire quante delle 260 morti materne e delle ulteriori 15 morti correlate sono scrivibili all’aborto indotto e alle perdite naturali di gravidanza (aborto spontaneo, gravidanza ectopica), ma non lo hanno voluto rendere noto.  

Se andiamo a leggere Senatore S, Donati S, Andreozzi S, (Ed.), Studio delle cause di mortalità e morbosità materna e messa a punto di modelli di sorveglianza della mortalità materna, Roma: Istituto Superiore di Sanità, 2012, (Rapporti ISTISAN 12/6). A pagina 10  troviamo i codici degli aborti indotti e di quelli spontanei: «[…] Procedura principale o secondaria di dilatazione e raschiamento per Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) (codice intervento 69.01); Procedura principale o secondaria di dilatazione e raschiamento a seguito di parto o aborto (codice intervento 69.02); Procedura principale o secondaria di raschiamento dell’utero mediante aspirazione per IVG (codice intervento 69.51); Procedura principale o secondaria di raschiamento dell’utero mediante aspirazione a seguito di gravidanza o aborto (codice intervento 69.52); Procedura principale o secondaria di salpingectomia con rimozione di gravidanza tubarica (codice intervento 66.62)».

Reardon osserva che questa reticenza a fornire dati veri sulle morti post aborto è dovuto probabilmente alle «varie sensibilità sociali, politiche e accademiche che promuovono l’aborto legale e sicuro nei Paesi in via di sviluppo» che quindi «possono avere un pregiudizio nei confronti della pubblicazione di risultati che mostrano un aumento dei tassi di mortalità associati all’aborto indotto».  

Il secondo studio di record-linkage italiano (Donati S, Maraschini A, Lega I, D’Aloja P, Buoncristiano M, Manno V); Maternal mortality in Italy: Results and perspectives of record-linkage analysis, Acta Obstetricia Gynecologica Scandinavica (2018) ha esteso il calcolo dell’MMR a 10 Regioni (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia, Sardegna) che rappresentavano il 77% dei nati nel Paese. Sono state individuate tutte le donne tra 11 e 59 anni che erano decedute durante la gravidanza, o entro un anno da qualsiasi esito di gravidanza (parto, gravidanza ectopica, aborto spontaneo, aborto indotto), nel periodo di 7 anni 2006-2012. Come per il precedente studio, i decessi sono stati identificati attraverso l’incrocio tra i certificati di morte e la banca dati delle SDO.

I ricercatori hanno individuato in totale 863 morti materne, delle quali 320 avvenute entro 42 giorni dall’esito della gravidanza e 543 avvenute tra 43 giorni e 1 anno. Tra i decessi materni entro 42 giorni, i ricercatori hanno individuato 43 morti accidentali e 12 suicidi, mentre tra i decessi tardivi (43 giorni/1 anno) hanno trovato 52 morti dovute a incidenti stradali, 22 omicidi, 55 suicidi e 10 casi di morte violenta non specificata. Il calcolo dell’MMR è risultato pari a 9,8 morti materne su 100.000 nati vivi, che equivale a una sottostima del 60,3% rispetto al dato ufficiale Istat delle Regioni partecipanti. Nonostante una diminuzione rispetto al primo studio, la sottostima rimane comunque elevata poiché ai dati ufficiali, desunti dai soli certificati di morte, continuano a sfuggire 6 morti materne su 10.

Come già avvenuto nell’ambito del primo studio, i ricercatori non hanno comunicato né la ripartizione dei decessi per ciascun esito di gravidanza, né gli MMR corrispondenti. Nonostante ciò, grazie ai dati riportati nel primo rapporto ItOSS (sistema di sorveglianza ostetrica) di Dell’Oro et. al. siamo in grado di conoscere almeno la ripartizione dei 67 casi di suicidio rilevati in totale dallo studio, che risultano così suddivisi: 4 in gravidanza, 34 entro 1 anno dal parto, 18 entro 1 anno dall’aborto indotto e 11 entro 1 anno dall’aborto spontaneo. A questo punto, per poter confrontare l’incidenza dei suicidi materni per ciascun esito di gravidanza avremmo bisogno del calcolo degli MMR corrispondenti, ma nel rapporto ItOSS non sono stati riportati.

Nonostante ciò, è stato comunque possibile reperire questi dati grazie all’articolo «Maternal suicide in Italy» (Lega I, Maraschini A, D’Aloja P, Andreozzi S, Spettoli D, Giangreco M, Vichi M, Loghi M, Donati S), pubblicato il 18 maggio 2019, dal quale risulta che i «67 casi di suicidio materno» corrispondono a «un rapporto di suicidio materno di 2,30 per 100.000 nati vivi». E che, l’MMR «era di 1,18 per 100.000 dopo il parto (n = 2.876.193), di 2,77 dopo l’aborto indotto (n = 650.549) e di 2,90 dopo l’aborto spontaneo (n = 379.583)». Il confronto degli MMR evidenzia che le donne che si sottopongono all’aborto indotto hanno il 230% (2,3 volte) in più di probabilità di suicidarsi entro 1 anno rispetto a coloro che partoriscono, confermando anche in Italia la maggiore mortalità dell’aborto indotto rispetto al parto, rilevata dai principali studi di record-linkage realizzati nel mondo sull’argomento. Val la pena di nominare un precedente studio di record - linkage finlandese sulla MMR. Ha registrato un tasso di mortalità materna del 41 per 100.000 gravidanze. Su 281 donne morte, 27 sono morte di parto, 48 per aborti spontanei o gravidanze ectopiche e 101 - il 36% - per aborti volontari.

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