17/07/2019

Dalla libertà del suicidio al suicidio della libertà

Oggi si parla tanto della “libertà” di togliersi la vita, chiamando il suicidio con il termine di “morte dignitosa”. Negarla, secondo la mentalità comune, significherebbe privare una persona di un suo “diritto fondamentale”. Ecco perché a tutti i costi si vuole rimuovere ogni paletto alla liceità dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Un articolo di Life News ci propone un’interessante riflessione sul fenomeno del suicidio e sui suoi effetti nella società. Infatti, come ogni esperienza forte, anche quella del suicidio è contagiosa, solo che, a differenza delle altre, da essa non si può tornare indietro.

Negli Stati Uniti, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani ha dimostrato che «l’esposizione diretta e indiretta al comportamento suicidario precede un aumento del comportamento simile nelle persone a rischio di suicidio, specialmente negli adolescenti e nei giovani adulti». Ad esempio, al suicidio di Marilyn Monroe, nel 1962, che ebbe un’enorme risonanza mediatica, seguì un incremento del tasso di suicidi del 12%.

Ma i dati che giustificano il nesso tra un suicidio individuale ed il “contagio” di questa pratica sono davvero molteplici e, in questo campo, un grande influsso lo esercita la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito. Basti pensare che, da quando l’Oregon ha dato libero accesso al suicidio assistito, il tasso di suicidi è aumentato al punto tale da essere diventato «la seconda causa di morte dei giovani tra i 15 ed i 34 anni e l’ottava principale causa di morte in tutte le età».

Per non parlare dei Paesi Bassi, pionieri da anni ormai di questa pratica, in cui ormai una morte su quattro è indotta. Ebbene, pare proprio che, se si attraversa un momento difficile della propria vita e lo Stato riconosce che in quella determinata situazione ci si possa legalmente suicidare, si venga notevolmente indotti a farlo. Perché quando la sofferenza porta a credere che la propria vita non abbia senso, basta una piccola spintarella per precipitare nel baratro.

Il linguaggio delle leggi sul suicidio assistito è chiaro: che tu ci sia o no, che tu stia bene o voglia morire, fai quello che ti pare, non saremmo noi (Stato), certo, ad aiutarti a vivere. E allora non si è veramente “liberi” di suicidarsi, perché il suicidio non è più un’opzione illegale, ma un’offerta proposta su un piatto d’argento dalla cultura della morte.

E la libertà del suicidio diventa il suicidio della libertà.

Luca Scalise

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