17/02/2021 di Luca Marcolivio

Chi è il ministro Cartabia e perché viene attaccata dagli Lgbt

Il neonato governo Draghi si presenta indubbiamente come uno degli esecutivi più eterogenei della storia italiana. Accanto ad alcune scelte discutibili dell’ex presidente della BCE (una su tutte, la conferma dell’abortista Roberto Speranza al Ministero della Salute), ve ne sono altre che meritano apprezzamento. È assolutamente da accogliere con favore, ad esempio, la nomina di Marta Cartabia a ministro della Giustizia.

La 57enne giurista milanese assumerà l’incarico di guardasigilli, dopo essere stata la prima donna a guidare la Corte costituzionale. Allieva di Valerio Onida, con cui si laureò con lode nel 1987 alla statale di Milano, discutendo una tesi sul diritto costituzionale europeo, la Cartabia ha insegnato alle università di Verona, poi a Milano, alla statale, alla “Bicocca” e alla “Bocconi”. Tra le sue numerose attività si segnala la fondazione di Italian Journal of Public Law, prima rivista giuridica italiana, interamente in lingua inglese, di cui Cartabia è co-direttrice. Il suo nome ha iniziato a diventare particolarmente noto dal 2011, anno in cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la nomina membro della Corte costituzionale. Del massimo organo giudiziario italiano, Marta Cartabia è stata vicepresidente (2014-2019), poi, per un anno, presidente (2019-2020).

La presa in carico del Ministero della Giustizia da parte della Cartabia segna una discontinuità con il giustizialismo incarnato dal predecessore, il pentastellato Alfonso Bonafede. La giustizia «deve sempre esprimere un volto umano: ciò significa anzitutto, come dice l’articolo 27 della Costituzione, che la pena non deve mai essere contraria al senso di umanità, ma che la giustizia deve essere capace di bilanciare le esigenze di tutti», dichiarò un anno fa Cartabia in un’intervista a Repubblica. Un “volto umano” che si declina anche in posizioni pro life e pro family. Di formazione cattolica e vicina a Comunione e Liberazione, nella sua attività accademica, la Cartabia si è sempre ispirata a una “laicità positiva” di stampo americano.

Nell’estate 2019, al momento della crisi del governo giallo-verde, quando si ipotizzò il suo nome alla guida di un possibile governo tecnico, la cosa suscitò più di un mal di pancia tra le femministe. «Se fosse lei la prossima presidente del consiglio, le donne non avrebbero motivo di gioire», scrissero su MicroMega. Non era andato giù un articolo pubblicato sul Sussidiario, in cui la giurista ciellina scriveva: «I cd. “nuovi diritti” si alimentano di una concezione in cui l’uomo è ridotto a pura capacità di autodeterminazione, volontà e libera scelta». Un’impostazione bollata subito come “conservatrice, se non reazionaria”. In altre occasioni, invece, Cartabia scrisse: «Si arriva persino ad affermare il “diritto a non nascere” o il “diritto a darsi la morte”, il cui effetto è la negazione del soggetto stesso».

La Cartabia, inoltre, ha sempre difeso la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Poco prima di diventare membro della Corte costituzionale, ricordò che, con la sentenza 138 del 2010, la Consulta «protegge la famiglia, differenziandola da altre forme di convivenze e non permette il matrimonio omosessuale». Reazione indignata della commentatrice di MicroMega: «Ma davvero possiamo dirci rappresentate da chi sostiene assunti di questo tenore?».

Quando la Cartabia divenne presidente della Corte costituzionale, il portavoce del Partito Gay, Fabrizio Marrazzo dichiarò: «La sua nomina mette a rischio i nostri diritti». Ora che Cartabia è stata nominata guardasigilli, Marrazzo si mostra ancor più allarmato: «Sarà in grado di tutelarci?». Gli ha fatto eco il senatore Tommaso Cerno (PD), paladino dei diritti lgbt in Parlamento, che ha chiesto conto direttamente a Draghi: «Il premier chiarisca la posizione del governo sui diritti di uguaglianza tra i cittadini».

Il mondo radical-arcobaleno-abortista è in preallarme. Il nuovo ministro della Giustizia non si è ancora messo al lavoro, che già si ritrova sotto il fuoco di fila di tanti “sinceri democratici”.

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