27/01/2021 di Luca Marcolivio

Castelli (Assessore Marche): «Perché abbiamo detto no alla banalizzazione dell’aborto. Vogliamo sostenere la famiglia»

Il “no” del Consiglio Regionale delle Marche all’aborto chimico nei consultori è, in realtà, un “sì” alla donna, alla famiglia e alla natalità nel senso più ampio del termine. La nuova giunta di centrodestra, insediatasi lo scorso settembre, sta imprimendo un vistoso cambio di rotta, dopo decenni di egemonia delle sinistre nelle loro varie declinazioni. Uno di questi è proprio il ruolo di primo piano delle politiche familiari, in base a cui la famiglia dovrebbe diventare la vera “stella polare” di tutta l’azione amministrativa. A tale riguardo, Pro Vita & Famiglia ha raccolto il commento di Guido Castelli, assessore al Bilancio della Regione Marche.

 

Assessore Castelli, la vostra Regione ha sostanzialmente posto il veto sulle linee guida del Ministro Speranza sulla fruizione domiciliare della Ru486. Perché questo principio è inaccettabile per vostra amministrazione?

«Il punto centrale della questione è che noi abbiamo ritenuto di non aderire a delle linee guida che tendono a favorire anche l’utilizzo a livello territoriale extraospedaliero dell'aborto farmacologico. Le riflessioni che abbiamo proposto – e su questo tutto il centrodestra si è dimostrato compatto – è che il diritto alla vita va tutelato in tutti i modi possibili. Quindi riteniamo di dover favorire il rafforzamento di tutto un sistema di ausili e sostegni per la maternità. In modo tale che, a legislazione vigente, venga attivata quella parte della legge 194 che non ha mai trovato compimento e che riguarda tutte le attività di rinforzo, sostegno e ausilio a prevenzione dell’aborto. Tutto questo, ovviamente, comporta anche che non si vada a banalizzare il dramma dell’aborto attraverso l’utilizzo massivo della Ru486 nei consultori. Come affermava Hannah Arendt, la banalità del male è ciò che lo rende contagioso ed endemico. Utilizzare formule abortive a livello ambulatoriale e territoriale incrementa il rischio di banalizzare quest’azione così devastante che è l’aborto. Abbiamo detto di no alle linee guida di Speranza, perché abbiamo una visione positiva della tutela della maternità. Per questo, nella nostra assemblea regionale, sono in cantiere tutta una serie di iniziative legislative atte a rafforzare il ruolo pro vita dei sistemi di assistenza per quelle madri che dovessero ritrovarsi davanti al più orribile dei bivi per una donna. Il nostro è quindi un atteggiamento sostenuto da convinzioni politiche e morali ma anche dal principio per cui, per tutelare la salute della donna, è necessario limitare l’aborto all’ambito ospedaliero».

L’aborto è quindi un’esemplificazione di questa “banalità del male”?

«Esattamente. Non voglio fare indebite commistioni ma la Giornata della Memoria, che celebriamo oggi mi riporta alla mente ciò che diceva Pierfranco Ventura, mio docente di filosofia del diritto: nell’aborto si intravede qualcosa che ricorda Auschwitz, ovvero il debole che viene soppresso, senza possibilità di difendersi. Da qualunque prospettiva si valuti la questione, c’è un debole che viene soppresso. Un sistema amministrativo regionale che ha cura di tutelare la salute e l’organizzazione del sistema, ha quindi l’obbligo di dare il massimo sostegno a tutte quelle donne che vengono sfiorate dall’idea di fare ricorso a una delle più drammatiche e raggelanti condizioni in cui una donna può venire a trovarsi».

Prima lei parlava di misure a sostegno della maternità. In concreto, cosa sta mettendo a punto la vostra giunta?

«Stiamo pensando a risorse ordinarie e a formule che possano sostenere la maternità attraverso sostegni in tutti i settori di intervento della nostra Regione: abitazione, sostegno lavorativo, madri che si trovano in certe condizioni, rafforzamento delle unità che si occupano di consultorio e di strutture territoriali per accompagnare le scelte. Stiamo studiando un “pacchetto-famiglia” che parta dalla centralità della vita, tema tanto più utile e urgente, se si considera che, tra i problemi del sistema Italia, il più grave, probabilmente, come ricorda sempre il presidente dell’Istat, Giancarlo    Blangiardo, è la “gelata demografica”, che riflette un’eccessiva incertezza del sistema pubblico nel sostenere la natalità. La cultura della vita c’entra anche in questo. Si tratta di accompagnare le giovani famiglie e rimetterle al centro delle politiche pubbliche. La famiglia deve diventare l’unità centrale delle politiche generali, un’unità di riferimento per elaborare le nostre linee di intervento regionale in tutti i settori: dal punto di vista fiscale, del diritto allo studio, dell’abitazione. Qualcuno forse si scandalizzerà ma è quello che già è stato fatto in Ungheria!».

 

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