27/12/2022 di Luca Marcolivio

Carriera alias. De Manzoni: «Uno dei tanti strumenti del pensiero unico»

La grande “industria del pensiero unico” difficilmente potrebbe avanzare, se non avesse a sua disposizione una stampa e una televisione asservite. Il tema è stato affrontato con Pro Vita & Famiglia da Massimo De Manzoni, condirettore del quotidiano La Verità, che ha recentemente dato alle stampe il saggio Il regime in redazione. Manuale di autodifesa dall’informazione ideologica, con la prefazione di Mario Giordano. Il libro uscirà in allegato con La Verità fino a fine gennaio.

Dottor De Manzoni, il suo ultimo libro è intitolato Il regime in redazione: a chi si riferisce?

«Si riferisce alla nostra categoria: la maggior parte dei giornalisti, soprattutto negli ultimi tempi, si stanno appiattendo sul pensiero unico, rinunciando a svolgere il loro vero mestiere che è quello di sollevare dubbi e andare a verificare le notizie. Al contrario, accettano a scatola chiusa quello che viene loro proposto dal potere e dal mainstream culturale. La mia analisi prende spunto, in modo particolare, dal Covid, qualcosa che ha rivoluzionato e sconvolto le nostre vite e le nostre abitudini: con estrema facilità, ci sono state imposte cose fino a tre anni fa oggettivamente inaudite e impensabili per una democrazia. Che ruolo ha giocato l’informazione in tutto questo? A mio parere un ruolo enorme. Nulla di quanto più sgradevole ci è capitato negli ultimi tempi, sarebbe potuto accadere se la stampa e, in particolare, l’informazione televisiva avessero fatto il loro mestiere. Al contrario, i media hanno fatto da altoparlanti al potere, spesso con un eccesso di zelo che mi ha veramente colpito. Nel libro ho preso in esame episodi di altra natura, sconfinando in altri campi: dopo la pandemia è arrivata la guerra e si è continuato a tenere lo stesso registro. È un fenomeno che dura da tempo, tuttavia, ultimamente si è accentuato in maniera incredibile. Noi siamo del mestiere e certe cose le capiamo al volo ma gran parte della gente comune lavora tutto il giorno e ha altri interessi: poi, quando torna a casa, accende la tv e trova un telegiornale che non lo informa correttamente. Mettere in guardia le persone da tutto questo, secondo me non è sbagliato».

La dittatura del politicamente corretto che domina nella maggior parte delle redazioni ha delle implicazioni anche sui temi della vita e della famiglia (aborto, eutanasia, ideologia gender, ecc.): nel suo libro ha trattato anche questo punto?

«Non moltissimo. Devo dire che, a livello di esempi, mi sono concentrato di più sulla pandemia ma è chiaro che tutta la narrazione culturale degli ultimi tempi va in quella direzione. Il mio impegno quotidiano alla direzione de La Verità lo testimonia: noi siamo tra i pochissimi, forse gli unici nell’ambito della stampa quotidiana nazionale (assieme a Pro Vita & Famiglia, naturalmente) che su certi temi cantano fuori dal coro. L’aborto non è un diritto, ad esempio, ma è una tragedia che va fermata. Elevarlo al rango di diritto umano è una colossale e pericolosa mistificazione. Il nostro giornale si è battuto anche contro il ddl Zan. Sono temi che fanno parte di quello che ci viene imposto come narrazione del mainstream. Nel libro ho dedicato dei capitoli specifici a carta stampata, web, televisione e talk show. Nei talk show, in particolare, vigono dei meccanismi per cui, c’è già una tesi che deve vincere a prescindere e tutto lo spettacolo viene organizzato dall’inizio alla fine (ospiti, pubblicità), in modo da arrivare al risultato già prefissato. Se deve risultare che è giusto insegnare il gender nelle scuole, il numero di ospiti, la qualità degli ospiti e il taglio dei servizi saranno indirizzati a quella conclusione. Lo spettatore sarà quindi portato a dire: “beh, in fondo che male c’è, è tutto così…”».

Ha accennato all’ideologia gender propagandata a scuola. Finora, le leggi vigenti nel nostro Paese hanno in parte frenato una deriva incontrollabile, invece, nel Nord Europa. Si sta diffondendo, però, a macchia d’olio, la procedura della carriera alias: fatta la legge, trovato l’inganno?

«Come sempre accade in Italia, le leggi è sempre difficile farle rispettare. Nel caso specifico del gender, non c’è una legge che proibisce di dire o parlare di certe cose. La libertà degli insegnanti è abbastanza ampia. Io mi auguro che su questi temi il nuovo Ministro Valditara (che ho visto molto attivo fin dall’inizio, con provvedimenti giusti come quello sui cellulari in classe o sui lavori socialmente utili per chi compie atti di bullismo a scuola) arrivi ad esprimersi anche su questa materia. Una garanzia rispetto all’anno scorso ce l’abbiamo: la maggioranza che si è formata in Parlamento non voterà mai un disegno di legge come quello del democratico Zan. Però, è anche vero che, nella prassi di tutti i giorni, nelle scuole succedono cose che vanno nella direzione contraria. Lo stesso accade nei comuni, come Milano, dove le femministe guidate da Marina Terragni hanno denunciato il sindaco Beppe Sala, perché con il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali, di fatto, riconosce una pratica illegale in Italia come l’utero in affitto. La materia è incandescente: tra scuola, amministrazioni locali e tribunali, si tende a forzare la mano. Mi auguro che, almeno dal punto di vista politico, questa nuova maggioranza tenga botta e che, dal punto di vista culturale, si levino altre voci».

La carriera alias è quindi uno degli strumenti a disposizione della grande multinazionale del pensiero unico?

«Di fatto lo è. La fluidità, l’immigrazione selvaggia, i temi che vengono poi sponsorizzati e caldeggiati dal pensiero unico, che è sorretto dalla grande finanza. Dietro a queste ONG e ad organizzazioni come Planned Parenthood, ci sono sempre tanti soldi, distribuiti da gente che vuole indirizzare la società in una certa direzione e intende farlo perché, ovviamente, ha un suo interesse specifico. Un popolo che perde le proprie tradizioni, le proprie radici e la certezza della propria identità e dell’identità sessuale dei propri membri diventa facilmente manipolabile: penso sia lo scopo ultimo che hanno queste persone di potere».

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