05/03/2014

Baby-squillo di buona famiglia

Conoscevamo la piaga del turismo sessuale nei paesi in via di sviluppo, il dramma della prostituzione-schiavitù sui marciapiedi delle nostre città, adesso sappiamo anche che ci sono “brave ragazzine” disposte a tutto per abiti firmati, e che padri di famiglia, dirigenti e signori di un certo livello ne approfittano per soddisfare fantasie perverse

Il valore della verginità? Cento euro più quattro grammi di cocaina. Era il 1902 quando una ragazzina dodicenne veniva martirizzata nella campagna laziale, località Le Ferriere, per non commettere il “brutto peccato”.
È passato solo un secolo da allora, ma quando ci troviamo di fronte al caso di bambine che nel cuore della Roma bene si prostituiscono per sfizio, l’esempio di Maria Goretti appare lontano anni luce.
“Siamo ragazze esigenti. Vogliamo macchine, vestiti, cose griffate”, dicono le baby squillo dei Parioli: le due minorenni, 14 e 15 anni, al centro delle indagini del giro di prostituzione minorile per le quali sono stati arrestati due protettori e la madre di una delle squillo accusata di sfruttamento della figlia. È stata invece la madre dell’altra ragazzina a denunciare il fatto, insospettita dallo stile di vita della figlia che si ritrovava in tasca 500 euro al giorno. Nei messaggi inviati ai clienti via cellulare, descrivono il proprio carattere, i propri interessi e i loro desideri, il proprio corpo e i propri gusti sessuali, entrando in particolari che non ci sembra il caso di ripetere su questa nostra rivista. Leggere frasi del genere, buttate giù con tanta naturalezza, a quella età, fa male al cuore. E’ la morte del pudore e dell’innocenza. Ai magistrati la baby squillo racconta di non esser stata costretta da nessuno, ma che la loro è stata una libera scelta e che non sono vittime. “Noi vogliamo troppo! Per guadagnare tutti questi soldi o spacci o ti prostituisci”, dice la ragazzina durante un colloquio con la psicologa.
Lo squallore della vicenda rende superfluo qualunque commento, ma in realtà gli spunti di riflessione sono molteplici. Questo caso ci mostra come il disagio sociale e ancor di più quello interiore sia diffuso anche nella società del benessere, anche nei quartieri chic della capitale.
Se conoscevamo la piaga del turismo sessuale nei paesi in via di sviluppo, il dramma della prostituzione-schiavitù di cui sono vittime migliaia di ragazze di strada che battono nelle nostre città, adesso sappiamo che basta girare l’angolo per trovare nelle scuole ragazzine “disinvolte” disposte a tutto per abiti firmati, i-pad o una semplice ricarica e che ci sono padri di famiglia, dirigenti e signori di un certo livello che spesso ricercano espressamente minorenni per soddisfare fantasie perverse. L’emergenza educativa è seria. Questa storia è il frutto amaro di tanti anni di bombardamenti mediatici sul culto dell’apparire piuttosto che dell’essere e del diktat “fa’ ciò che vuoi”, per i quali gli adolescenti sono sempre più precoci e cinici. Questa società della “techne”, del “come fare”, ma non del “perché fare”, del benessere materiale, nutre di desideri e aspettative solo materiali, terrene, spesso subterrene, i ragazzi che vengono svuotati di senso a tal punto da non dare nessun valore a se stessi e al proprio corpo.
Perché attribuire un prezzo di vendita a qualcosa di inestimabile equivale a non dargli nessun valore. Urge tornare a educare i ragazzi sul senso della vita vissuta in pienezza, della sessualità, della sponsalità, della stima e custodia di sé, affinché si possano dischiudere per le nuove generazioni orizzonti di speranza. Quegli orizzonti luminosi inaugurati all’alba del secolo scorso dalla tenacia di una martire bambina.

di Umberto La Morgia

Festini

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