21/06/2017

Autodeterminazione: una chimera che condanna all’infelicità

Autodeterminazione. Questa parola, assieme ad alcune altre, è come il colore nero: non passa mai di moda, va bene in qualsiasi anno e a qualsiasi latitudine.

In tutto questo, ovviamente, non ci si rende conto della schizofrenia che ci avvolge: si è convinti di poter decidere tutto della propria vita e invece si è sostanzialmente delle vittime... di se stessi, delle proprie pulsioni, della società che ci “obbliga” (democraticamente, eh!) a fare e dire determinate cose. Mai come oggi, forse, siamo stati più lontani dalla vera libertà, da quella Verità che ci aiuta a scoprire realmente chi siamo.

In questo contesto, uno degli argomenti che più richiama il principio di autodeterminazione è quello della procreazione. In questo campo pare che la donna sia l’unica a poter decidere, ad avere l’ultima parola: sul suo corpo, che bombarda di ormoni e sottopone a interventi come e quando vuole; sull’uomo (o, per essere più realistici, sugli uomini) con cui condivide la sessualità; e sui bambini che ha concepito e non ha fatto nascere – per via dell’aborto, ma anche della spirale o delle varie pillole falsamente contraccettive, che in realtà sono abortive – o che non ha proprio concepito, utilizzando la contraccezione o la sterilizzazione.

Ebbene per la prima volta, in questi giorni, il Tribunale di Cagliari ha sancito questo diritto all’autodeterminazione, condannando l’Azienda ospedaliera a risarcire una donna per aver violato le sue «scelte di procreazione».

Questi i fatti: dodici anni fa una donna è stata sottoposta a un taglio cesareo per dare alla luce il suo secondo figlio; in quella occasione aveva manifestato la volontà di sterilizzazione tubarica. Tutto pareva essere andato bene, ma dopo un anno la donna si era ritrovata incinta. Di qui la scelta di abortire (... e l’autodeterminazione del bambino?) e di fare causa all’ospedale.

Non è il primo caso simile, e non sarà l’ultimo. Sono già note diverse sentenze di ospedali incriminati per non aver effettuato aborti o averli effettuati in maniera errata; per non aver informato debitamente rispetto a possibili malformazioni o malattie del bambino; o, anche, per qualche errore a livello di somministrazione di contraccettivi o di sterilizzazione.

Dove sta la novità, dunque? La protagonista della vicenda aveva avanzato quattro richieste: il risarcimento delle spese per la causa; il risarcimento dei danni di salute; il risarcimento del danno biologico; e il risarcimento – appunto – del danno della libertà di autodeterminazione. Rispetto a queste richieste, il Tribunale di Cagliari ha sentenziato che non era riscontrabile un danno alla salute, dal momento che la donna non presentava conseguenze post abortive (sic!), ma ha accolto le altre richieste, come scrive Luigi Ferrarella: «Il giudice Giorgio Latti ha invece riconosciuto “il danno non patrimoniale” per “anche la sola violazione del diritto all’autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione: infatti — scrive — il diritto alla procreazione cosciente e responsabile è certamente un diritto, normativamente riconosciuto, che trova riscontri costituzionali sia nell’art. 2 sia nell’art. 13 della Costituzione”. In assenza di parametri, il giudice è ricorso a una valutazione “in via equitativa” del danno alla “delicata sfera della persona pregiudicata dall’illecito”, condannando l’Azienda ospedaliera a pagare alla signora, assistita dall’avvocato Mauro Intagliata, un risarcimento di 20.000 euro».

Ecco dunque l’autodeterminazione che diventa legge. Il tutto sulla pelle delle donne, dei bambini, degli uomini e della stessa società, sulla soglia del collasso demografico. Ma, attenzione, viene presentato come un “progresso”.

Sull’autodeterminazione si è espressa l’altro giorno anche Monica Cirinnà, dalle colonne di La Repubblica, rimproverando le femministe che si dicono contrarie all’utero in affitto: ma come, afferma la senatrice, quando si trattava di intraprendere la battaglia sull’aborto avete gridato al mondo «L’utero è mio e lo gestisco io», e ora non concordate con le donne che “decidono” di affittare una parte del proprio corpo?

Il ragionamento fila, se non fosse sbagliato alla radice. Se si osservano le cose con obiettività, infatti, emerge chiaramente la fallacia del ragionamento delle femministe: è vero, l’utero sarà anche “fisicamente” della donna, ma risponde a leggi indipendenti dalla volontà (forse si può decidere quale giorno e a che ora avere il ciclo? Forse si può rimanere incinte a comando?) e ha bisogno di un uomo per espletare appieno la sua funzione (l’utero è della coppia, si potrebbe dire...). Dunque, autodeterminazione de che?

Teresa Moro


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