24/11/2019

Antidoto alla Ru486, un’altra vita è salva

Come sappiamo tutti, la Ru486 è la pillola usata per l’aborto farmacologico. Come pochi sanno, questo è il metodo di aborto più rischioso per la salute femminile (che è già messa seriamente in pericolo dall’aborto chirurgico). Ma esiste un antidoto per salvare il piccolo. Una testimonianza che leggiamo in un articolo di Life News, ci dà modo di ribadirne l’importanza.

La procedura per l’aborto farmacologico, «prevede che si assuma una pillola subito ed una diversa nell’arco di tre giorni: il Mifepristone, che, inibendo la produzione di progesterone fa morire il bimbo di fame e di sete, ed il Misoprostol, che serve ad espellere il bimbo ormai morto, inducendo le contrazioni uterine, proprio come nel parto», come spiegavamo in un altro articolo.

Dopo aver assunto il Mifepristone, Ivette, una giovane donna, già madre di una bambina di due anni, iniziò a ripensarci sulla sua decisione di abortire. Lei ed il suo compagno erano convinti di non riuscire a crescere un altro figlio oltre a quella che già avevano.

Fu così che si rivolsero ad una clinica abortista, dove, non fu permesso loro di vedere un’ecografia del bambino, pur avendolo richiesto. È una prassi quella di impedire che le donne vedano il proprio bambino in un’ecografia. L’ecografia, infatti, mostra la verità e cioè che nel ventre materno c’è un bambino e non un qualunque grumo di cellule. E far vedere la verità potrebbe dare modo alle donne di ripensarci in tempo, mettendo, quindi, in crisi il macabro mercato dell’aborto.

Ivette e il suo ragazzo, sulla via del ritorno a casa, iniziarono a cercare come poter salvare il loro bambino e scoprirono «Abortion Pill Rescue, una helpline 24/7 (877-558-0333) sostenuta da una rete di 800 professionisti medici che offrono l'Abortion Pill Reversal», un vero e proprio antidoto alla Ru486, che, con una buona dose di progesterone, se fornito entro le 72 ore dall’assunzione del Mifepristone, può salvare la vita del piccolo.

Telefonarono e presero appuntamento con un infermiera, che immediatamente si mise a loro disposizione. Raggiunta la clinica pro life, Ivette scivolò in bagno e perse una gran quantità di sangue. Pensava che tutto fosse perduto, specie dal momento che l’età stimata del nascituro era di sole 4 settimane. Ma il medico non smise di combattere per salvare la vita al piccolo.

«Le preoccupazioni di Ivette non erano ancora sparite. Lo stesso giorno in cui ha iniziato il trattamento di inversione, ha ricevuto un terribile messaggio vocale dalla struttura abortista che aveva visitato. Il personale le ha ricordato di prendere le altre quattro pillole per l'aborto chimico che la struttura le aveva dato e ha avvertito che se avesse continuato la gravidanza, il suo bambino sarebbe nato con difetti alla nascita».

Tutto falso. Fortunatamente Ivette non ci credette e consultò l’infermiera pro life che le disse che il piccolo non correva questo rischio più di altri. Il bambino nacque e fu la gioia dei suoi genitori.

Gli abortisti avrebbero usato Ivette, mentendole e costringendola all’aborto, pur di fare soldi sulla sua pelle.

I pro life le hanno garantito una vera libertà di scelta, lottando per lei e per il suo bambino.

 

di Luca Scalise
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