20/09/2019

Anche l’Huffington Post riconosce “vita” quella intrauterina

«L'inquinamento ci perseguita fin dalla vita intrauterina. Trovate particelle di nerofumo dentro la placenta». L’interessante titolo dell’Huffingtonpost che riporta i risultati di uno studio che dimostra come l’aria inquinata respirata dalle madri penetri nella placenta dal lato fetale, ci induce ad un’importante considerazione: come il concetto di vita non possa essere relativizzato ma sia, in realtà, ben posseduto anche da chi non appartiene necessariamente ad una realtà pro life.

Come si possa negare il valore e l’importanza di uno stadio della vita umana che rappresenta la condizione sine qua non è impossibile nascere, rimane un mistero.

Oggi ci troviamo di fronte alla grandissima contraddizione di gridare che c’è vita su Marte in riferimento al ritrovamento di molecole organiche, dunque, sostanze inanimate ma poi, non sappiamo (o non vogliamo) riconoscere l’evidenza di un individuo in formazione che aspetta solo di venire alla luce.

Molti studi scientifici importanti hanno peraltro dimostrato l’importanza della qualità della vita intrauterina. Ad esempio, sta diventando ormai noto come l'esperienza prenatale influenzi l'apprendimento e la percezione nella vita post-natale: studi che dimostrano come il neonato sia capace di interagire con la propria madre e di conservare nella sua memoria tutti i ricordi di quelle esperienze, anche dopo la nascita. Un dialogo madre-figlio essenziale, quello intrauterino, come ha dimostrato ad esempio una ricerca condotta dal Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia del Hua Chiew Hospital di Bangkok, che prevedeva vere e proprie “sessioni comunicative” col feto, comprendenti dialogo prenatale quotidiano, ascolto di brani musicali, colpetti sull'addome in risposta a movimenti fetali e che hanno evidenziato effetti decisamente benefici dopo la nascita: maggiori capacità di apprendimento, di riconoscimento della voce materna e capacità di auto-consolazione tramite l’ascolto della musica udita nel grembo materno.

Ma anche la scienza medica prenatale col moltiplicarsi degli interventi operatori, in utero, in seguito a diagnosi di patologia prenatale, ormai dimostra di trattare e considerare il feto un paziente come tutti gli altri. Dunque viene da chiedersi, di fronte a tutto ciò, se l’ostinata negazione del riconoscimento della vita intrauterina, a qualunque stadio essa si trovi, per quanto questo atteggiamento si spacci come “progressista”, non sia proprio frutto, invece, di una mentalità e di una visione “ascientifica” della realtà, per di più di una realtà oggettiva e se dunque i veri “retrogradi” non siano coloro che difendono la vita ma chi si ostina a negarne l’evidenza palpitante, sempre e comunque.

 

di Manuela Antonacci 

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